Non sarà una maggioranza politica. Non sarà nemmeno una maggioranza strutturata da un patto preliminare. Ma non c’è dubbio che 556 voti alla Camera per il governo Monti rappresentano un segnale chiaro e netto. La convergenza inedita fra Pdl, Pd, terzo polo e persino IdV costituisce una forma di unità nazionale ‘soft’, il massimo che ci si poteva attendere nell’Italia esausta in cui viviamo. Siamo fuori dalla tradizione? Senza dubbio sì, ma forse non c’era altra strada per approdare a un livello superiore di coscienza pubblica.
E poi, quale tradizione abbiamo abbandonato? La cosiddetta Seconda Repubblica è stata quasi soltanto rissa e confusione. Oggi non è la democrazia a essere sospesa, visto che il governo ha avuto il crisma parlamentare. E gli stessi dirigenti del partito berlusconiano, Alfano e Cicchitto, hanno fatto due discorsi aperti e costruttivi, ben compresi e apprezzati dal premier.
A essere bloccata ‘pro tempore’ è una forma di competizione politica tanto esasperata quanto insipiente. Quindi la tregua incarnata dall’esecutivo Monti si traduce in un’opportunità offerta ai partiti perché riflettano su se stessi e migliorino, se ne sono capaci, l’offerta politica da offrire agli elettori quando si tornerà a votare. Il che non significa considerarsi già in campagna elettorale, come vorrebbero alcuni; anzi, questo è proprio un errore perché il clima elettorale è il rovescio della cooperazione che in questo frangente serve al Paese e rischia di rendere ancora più dolorosi gli interventi ‘sgradevoli’ che Monti dovrà apprestare.
Però oggi occorre essere ottimisti, per l’ottima ragione che siamo in presenza di un passaggio storico. L’Italia politica sta cambiando volto e alla fine di questo periodo fuori dall’ordinario il volto politico del Paese non sarà più lo stesso. Lo ha intuito un navigatore astuto come Casini, quando ha adombrato, in un intervento efficace, che il sistema si sta avviando verso un profondo riassetto. E non è poco, anche se la storia è tutta da scrivere.
Quindici giorni fa eravamo dentro un’ingessatura politico-istituzionale senza speranza; ieri il ghiacciaio sembrava sulla via di scongelarsi. Nel prossimo futuro il centrodestra sarà differente da come lo abbiamo conosciuto negli ultimi anni e si presenterà alle elezioni con un leader diverso da Berlusconi. Allo stesso modo il centrosinistra bloccato sull’alleanza con Di Pietro e Vendola sembra all’improvviso costretto al risveglio: il domani potrebbe giocarsi su una nuova intesa fra il Pd e il centro, qualcosa che metterebbe fuori campo numerosi giocatori.
Vedremo. Quel che è certo, Monti ha rimesso l’Europa al centro del dibattito pubblico. Lo ha fatto senza nascondere le responsabilità degli ‘altri’ nella crisi finanziaria che colpisce la zona euro. Ma soprattutto ha sottolineato le nostre responsabilità e le nostre colpe. Che impongono, d’ora in avanti, di essere corretti e virtuosi, nonché disposti ai sacrifici. È una prospettiva spiacevole? Probabilmente sì, ma è l’unico modo per tornare a giocare una partita in campo largo, con un orizzonte ambizioso. I colloqui e poi gli incontri a tre fra Angela Merkel, Sarkozy e lo stesso Monti indicano che l’Italia è stata riammessa nel circuito ristretto delle nazioni che contano e il cui destino s’intreccia con quello degli altri partner.
È una novità piuttosto clamorosa e dimostra che il recupero di credibilità, punto prioritario del programma, è già in corso in forme sorprendenti. Uno degli obiettivi di Monti è quasi raggiunto, come dimostrano gli spread raffreddati e soprattutto divisi in modo più equanime fra i Paesi (Francia e Spagna) che non sono esenti dai problemi. L’alibi italiano sta venendo meno e questo significa che il premier bocconiano, con la sua sola presenza, ha già recuperato in parte il credito perduto. Il resto dovrà venire di conseguenza. ‘Impegno nazionale’, la formula coniata da Monti, definisce una missione che è insieme suggestiva e un po’ vaga. Come l’intero esecutivo, potremmo dire: fatto di persone competenti e impeccabili, di nobili principi e di atti conseguenti che dovranno essere giudicati al momento opportuno.
Tuttavia Monti è entrato in lizza senza sbagliare passo. È stato persino ruvido quando ha ricordato ai partiti che essi hanno il diritto di sfiduciarlo in ogni momento; ma che se lo faranno dovranno poi vedersela con l’opinione pubblica. In fondo è vero. L’opinione pubblica, piaccia o no, resta la vera alleata del ‘Governo del Presidente’. Almeno fin quando Monti deciderà di affrontare a viso aperto i trabocchetti del gioco partitico. Per ora si è aperta una ‘finestra d’opportunità’ in cui i partiti nulla possono contro il presidente del Consiglio imposto dalle circostanze (e dal fallimento della politica).
A sua volta Monti sa di dover essere molto rispettoso verso il Parlamento tutto. Ci vuole molto equilibrio: il suo non è un Governo ‘tecnico’ come mascheratura di uno slittamento verso il centrosinistra. No, è un esecutivo dall’anima liberaldemocratica che vuole fare un buon lavoro al centro degli schieramenti. I partiti, sfiancati, osservano e ringraziano. L’augurio a Monti è che sia in grado di sfruttare al meglio lo spazio temporale che si è aperto. Non durerà per sempre, ma abbastanza per permettere al premier di agire con il bisturi.
Il Sole 24 Ore 19.11.11