Sarà pure un “robot”, il nuovo presidente del Consiglio, come l´ha immediatamente battezzato Maurizio Crozza a “Ballarò” con la prontezza della satira fulminante. Perché il Professore parla e si muove – appunto – con il distacco, la freddezza e anche la monotonia di un automa. Ma in realtà – come si può leggere su Wikipedia, la libera enciclopedia della Rete che ha appena lanciato un´altra sottoscrizione per la propria sopravvivenza – il termine deriva dalla parola ceca “robota” che significa letteralmente “lavoro pesante” e al momento, in Italia e in Europa, forse non c´è persona che debba compiere un lavoro più pesante di quello a cui è chiamato Mario Monti.
Sono bastati pochi giorni per registrare (finalmente) un cambio di stile e di clima. Nel linguaggio, nella comunicazione, negli atti e nei comportamenti. Sembra già di vivere in un Paese diverso, più normale, più composto e civile. Si ha quasi l´impressione di respirare un´aria più leggera e più salubre.
Ora spetta in primo luogo al sistema politico avviare e alimentare, se sarà all´altezza del compito, una fase di riconciliazione nazionale. Ma un ruolo determinante tocca al sistema mediatico nel suo complesso, a cominciare dalla televisione e in particolare da quella pubblica. Qui il nuovo governo avrebbe la possibilità di intervenire subito sul vertice di viale Mazzini, cominciando a sostituire il rappresentante dell´Economia nel consiglio di amministrazione. Ed è dallo stesso ministero, in quanto titolare delle azioni e quindi della proprietà della Rai, che promana la nomina del direttore generale, “dominus” dell´azienda a tutti gli effetti.
In attesa di una riforma organica del servizio pubblico, imperniata su una governance che assicuri alla Rai piena autonomia dal potere politico e su una diversa ripartizione delle risorse pubblicitarie che l´affranchi dalla sudditanza all´audience, il “governo di impegno nazionale” ha tutta l´autorità per ripristinare le condizioni minime di funzionalità ai piani alti di viale Mazzini. Nonostante le iniziali aperture di credito, la direzione di Lorenza Lei ha rapidamente deluso le attese e dilapidato le aspettative. Quanto allo scandaloso “caso Minzolini”, sarà verosimilmente la magistratura a risolverlo presto con il probabile rinvio a giudizio del direttore del Tg1 per peculato: a quel punto, la Rai dovrà costituirsi parte civile contro il suo dipendente e almeno sospenderlo dalle sue funzioni o, ancora meglio, concordare le dimissioni.
Resta sul tavolo la questione finanziaria. Sul modello inglese della Bbc, sarebbe opportuno che un servizio pubblico all´altezza della sua missione funzionasse con i proventi del canone d´abbonamento, anche per favorire magari una redistribuzione delle risorse pubblicitarie fra gli altri media e quindi il pluralismo dell´informazione. Sta di fatto, però, che in Italia il canone è il più basso d´Europa (109 euro contro una media europea di 236). E, soprattutto, è il più evaso: rispetto ai 16,8 milioni di abbonati, si calcola che il 27% della popolazione (circa 6 milioni di famiglie) non lo paghi regolarmente, contro una media europea del 6,4%, per un mancato introito di circa 500 milioni di euro all´anno.
All´insegna del rigore, la lotta all´evasione fiscale dichiarata dal governo Monti potrebbe comprendere quindi anche il canone Rai che – come si sa – configura una tassa di possesso sul televisore, al pari del bollo di circolazione stradale per auto e moto. Gli strumenti non mancano: dalla proposta lanciata dal presidente Paolo Garimberti fin dal suo esordio, per includerlo nella bolletta elettrica, alla soluzione francese che lo aggancia alla “tassa di abitazione” (in pratica, la nostra Ici). Ma, all´insegna dell´equità sociale enunciata dal neo-presidente del Consiglio, sarebbe più giusto stabilire un canone differenziato per fasce di reddito, come per il bollo auto in rapporto alla potenza del motore: per il bilancio di un pensionato o di una pensionata, 109 euro sono certamente più pesanti che per un imprenditore o un professionista, mentre la televisione pubblica riveste per lui o per lei un´importanza senz´altro maggiore nella realtà della vita quotidiana.
Alla base di tutto c´è naturalmente un problema di cultura aziendale, di professionalità e di responsabilità. Non basta di tanto in tanto l´exploit di Fiorello, di Benigni o di chiunque altro a risollevare la Rai. La sfida della qualità deve andare oltre lo show e il talk show, per coinvolgere sia l´intrattenimento sia l´informazione. Né si può pensare di garantire il pluralismo con gli “opposti estremismi” o, per citare Sergio Zavoli, con la “somma delle parzialità”.
All´inizio degli anni Venti, il padre fondatore della Bbc, sir John Reith, indicò questi tre compiti del servizio pubblico: educare, informare e intrattenere. Sono ancora oggi i cardini intorno a cui deve ruotare la tv di Stato, per rispettare la propria funzione e la propria responsabilità istituzionale. E non si pecca certo di moralismo ad assegnare alla televisione pubblica anche un ruolo pedagogico nei confronti della società.
La Repubblica 19.11.11