Ne ha viste di cose l’università di Pavia nei suoi 650 anni di onorato servizio, dalla fondatore Carlo IV al rettore Alessandro Volta, dal professor Ugo Foscolo al Nobel Carlo Rubbia. Ma anche la sentenza di ieri, nel suo piccolo, potrebbe diventare storica. L’ateneo è stato condannato dal Tar della Lombardia a risarcire i propri studenti per aver alzato le tasse d’iscrizione al di sopra dei limiti di legge. Una decisione che adesso potrebbe innescare un effetto a catena. E svuotare le casse (già messe male) di buona parte delle università italiane.
Dice la legge che il totale dei soldi incassati dalle università con le tasse d’iscrizione non può superare il 20% dei fondi che lo stesso ateneo riceve ogni anno dallo Stato. Una regola fissata proprio per calmierare i contributi studenteschi, che però nel 2009-2010 molti rettori hanno finito per aggirare. Secondo il Tar lombardo, l’università di Pavia ha sforato dell’1,33% chiedendo ai propri studenti un milione e 700 mila euro in più del dovuto. Soldi che dovrà restituire ai ragazzi se perderà anche l’appello già annunciato davanti al Consiglio di Stato. «È una sentenza storica e rivoluzionaria» dice Michele Orezzi, coordinatore dell’Udu, l’Unione degli universitari che aveva promosso il ricorso. In realtà è anche una sorpresa. Poche settimane fa il Tar della Toscana aveva detto l’esatto contrario respingendo l’esposto di un gruppo di studenti fiorentini. E anche il Consiglio di Stato aveva firmato un parere dello stesso segno. Tar della Toscana e Consiglio di Stato, in sostanza, avevano detto che quel 20% va considerato con una certa elasticità. Ma la sentenza di ieri rovescia la situazione: non c’è spazio all’interpretazione, anche un solo euro in più va restituito. L’università di Pavia — spiega il pro rettore Lorenzo Rampa — aveva chiesto una valutazione complessiva del caso. Sostenendo che il fatidico 20% è stato sì sfondato ma non per l’aumento delle tasse bensì per il taglio dei soldi trasferiti dallo Stato. Il 2009—2010, in effetti, è stato l’anno della grande sforbiciata Gelmini-Tremonti, con un calo del 3,87% al cosiddetto fondo di finanziamento ordinario, la torta pubblica che i singoli rettori si devono dividere. A quel punto tutte le università border line hanno sforato il limite. Adesso sono una buona metà.
Al di là dei ricorsi, la questione è delicata davvero. Ed è stata toccata anche nella prima lettera inviata all’Unione europea del governo Berlusconi. Quel documento di impegni ereditati adesso da Mario Monti dice che «si accresceranno i margini di manovra nella fissazione delle rette d’iscrizione». Il tetto del 20% potrebbe salire, dunque, ma con «l’obbligo di destinare una parte dei maggiori fondi a beneficio degli studenti meno abbienti». Anche l’ultimo governo Prodi ci provò con il Patto per l’università firmato da Fabio Mussi e Tommaso Padoa- Schioppa che proponeva di alzare la soglia al 25%. Non se ne fece nulla. Adesso la palla passa al nuovo ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo.
Il Corriere della Sera 19.11.11