Sono 8 milioni, tra disoccupati, inattivi, cassintegrati, precari e part time involontari, le persone che vivono una condizione lavorativa «di sofferenza», a causa della «radicale modifica» della struttura del mercato del lavoro. Tra questi, 3,5 milioni sono i disoccupati veri e propri. Un esercito di persone con stipendi medi fra i 600 e 700 euro al mese, con tutele in via di esaurimento e già finite per molti disoccupati, inesistenti per tantissimi precari il cui numero è in costante crescita. E senza considerare il lavoro nero integrale. La disoccupazione reale, calcolando anche l’effettiva quota di scoraggiati che dichiarano però di essere disoccupati e voler lavorare, sale ad oltre il 13%. Quanto a chi un lavoro ce l’ha, la qualità dell’occupazione è bassa e fotografa un sistema produttivo arretrato e troppo basato ancora sulla competizione di costo, in totale controtendenza come qualfiche con il resto d’Europa. Lo studio curato dall’Ires Cgil «Un mercato del lavoro sempre più atipico: scenario della crisi» ripercorre gli ultimi quattro anni dell’occupazione italiana mettendo a fuoco l’impatto della crisi sul mondo del lavoro. LA CADUTA Afronte della frenata del Pil nel passato biennio si è registrata una «caduta drammatica dell’occupazione» con oltre 530mila occupati in meno che ha interessato prima il lavoro temporaneo e poi le posizioni stabili. L’area della disoccupazione allargata, che comprende i disoccupati Istat e gli inattivi in età da lavoro, è molto più vasta di quella della disoccupazione ufficiale. Nel 2010 ha contato secondo l’Ires circa 3,5 milioni di persone, di cui 1,5 senza impiego, e più della metà residenti nel Mezzogiorno. «Diradatasi con l’uscita di scena di Berlusconi la cappa di propaganda del “stiamo meglio dell’Europa” – dice Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil – con dati concreti e verificati abbiamo voluto presentare la realtà. Un’enorme area di sofferenza attraversa il mondo del lavoro. Una parte è legata alla crisi, ma altrettanta parte del problema è legata alla scelta dell’ex governo verso la precarietà, al mancato contrasto al lavoro nero, alla non riforma degli ammortizzatori sociali, alla totale assenza di politiche di sviluppo». Che fare? «Ci vogliono risorse – riprende Fammoni – da una patrimoniale strutturale da investire anche in sviluppo. Tutele immediate perché il 2012 non amplii ancora questa enorme area di povertà». Secondo il rapporto «cresce anche la sottoccupazione, come viene documentato dal numero degli occupati a tempo parziale involontario pari a 1 milione e 850mila circa nel primo semestre 2011, mentre il lavoro temporaneo comincia a connotare anche il lavoro degli adulti over 44 che nell’insieme degli atipici sono il 21,5%, fenomeno che interessa soprattutto i meno scolarizzati. Passando ai grandi aggregati, il tasso di disoccupazione ha cominciato a crescere nel 2008 portandolo all’8,4% dell’anno scorso anno, media tra il 13,4% nel Mezzogiorno e il 6,4% nel Centro- Nord. Risalta ancora una volta negativamente il dato relativo alle donne. Il tasso di disoccupazione femminile lo scorso anno è stato del 9,7%. Ma la categoria più penalizzata, come emerge ad ogni nuovo dato statistico, è quella dei giovani tra i 15 e i 34 anni: in due anni perdono 854mila occupati, il 12% di 7 milioni 110mila stimati nel 2008-9. Gli occupati più giovani (fino a 24 anni) diminuiscono relativamente di più (-15,9%, -235mila unità) mentre i meno giovani, i giovani adulti di 25-34 anni si riducono dell’11%. In termini assoluti una perdita molto più consistente, -619mila.❖
L’Unità 17.11.11
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Dai disoccupati ai precari otto milioni di italiani nell´area della “sofferenza”, di Luisa Grion
Ci sono i precari, i lavoratori «obbligati» ad un part-time di poche ore, i cassintegrati da 700 euro al mese e gli sfiduciati che vorrebbero trovare un´occupazione, ma si sono rassegnati ad aspettarla stando a casa. Ci sono tante donne, tanti giovani, ma anche tanti capi-famiglia del Nord che perso un posto non ne hanno ancora trovato un altro. E infine ci sono i disoccupati «ufficiali», quelli che – rispondendo ad una definizione più restrittiva – dichiarano di essere già in cerca di lavoro e di essere pronti a rispondere all´offerta. Un vasto popolo in sofferenza cui manca un lavoro tutelato e il conseguente reddito. Un universo spezzettato che le statistiche ufficiali non considerano unitariamente.
L´Ires Cgil lo ha fatto e le cifre che sono uscite da suo rapporto («Un mercato del lavoro sempre più atipico: segnali di crisi») sono un colpo duro a chi pensa che l´Italia, in fondo, sia messa meno peggio di tanti altri: nell´area della disoccupazione allargata, infatti, vivono 8milioni e 300 mila lavoratori italiani, «oltre il 30 per cento della forza lavoro potenziale del Paese» specifica lo studio.
A tale livello si arriva aggiungendo ai 3,6 milioni di senza lavoro i 600 mila cassintegrati che rischiano di restare senza reddito una volta «consumato» il sostegno degli ammortizzatori sociali, i milioni e mezzo di atipici e di precari e 1,6 milioni di lavoratori costretti ad un part-time involontario. E il totale non tiene conto del lavoro nero.
«Calcolando l´effettiva quota di scoraggiati che dichiarano di essere disponibili a lavorare, si arriva dunque ad un tasso di disoccupazione reale del 13 per cento – commenta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil – Si tratta di 8 milioni di persone con stipendi medi fra i 600 e 700 euro al mese, con tutele in via di esaurimento, già finite per tanti disoccupati, inesistenti per tantissimi precari il cui numero è in costante crescita» Questa, sottolinea la Cgil, è la «vera emergenza per il futuro, il primo problema da risolvere». «I consumi calano e la produzione si ferma, ma chi dovrebbe consumare se questa è la realtà?» sottolinea Fammoni, convinto che «per ridurre la precarietà ed estendere le tutele servano risorse» e che «le risorse si possono trovare varando una patrimoniale e destinandone una parte allo sviluppo».
Ma il lavoro va rilanciato non solo in quantità, anche in qualità. In Italia, secondo il rapporto, «a differenza di quanto avviene negli altri Paesi europei, perdono quota le professioni scientifiche ad elevata specializzazione e le professioni tecniche, crescono invece quelle non qualificate ed esecutive». Nel futuro tutto ciò avrà un peso: il Cedefop, la Commissione europea sulla formazione, calcola che per il 2020 il mercato del lavoro europeo richiederà il 31,5 per cento di occupati con alti livello di competenza (oggi in Italia sono solo il 12,8 per cento) e il 18,5 con livelli bassi (da noi, ora, è il 45,2).
La Repubblica 17.11.11