Meno ore di lezione e l’onere dell’apprendimento lasciato agli studenti e alle loro famiglie. E nella comparazione con gli altri Paesi restiamo indietro. C’ è un aspetto nella comparazione dei livelli di apprendimento che si conseguono nei vari sistemi educativi che non viene solitamente rilevato. Eppure offrirebbe un criterio particolarmente significativo per la valutazione delle politiche scolastiche. Si tratta di porre in relazione i risultati conseguiti dagli allievi con le scelte di politica scolastica che hanno determinato condizioni più o meno positive per l’attività educativa. Deriva da questa premessa che la comparazione è più attendibile se le condizioni in cui sono stati ottenuti i dati sui livelli di apprendimentononsono troppo diverse. Se la comparazione è svolta una tantum è difficile stabilire in quale misura i punti di vantaggio o quelli di svantaggio di un sistema rispetto agli altri siano da riferire alle scelte politiche. Una comparazione episodica fa riferimento, infatti, a un tempo limitato, quello in cui i dati sono stati rilevati, mentre le politiche scolastiche non possono che essere osservate nel loro esprimersi in tempi di qualche consistenza. Se la comparazione si ripete, la logica interpretativa cambia. Non è più così importante stabilire quali Paesi abbiano ottenuto risultati migliori e quali meno buoni, perché l’attenzione si rivolge soprattutto a cogliere come siano cambiate le relazioni fra i sistemi oggetto di comparazione. Senza dubbio l’analisi dei cambiamenti può costituire il punto d’avvio per riflessioni che investono l’adeguatezza delle scelte rispetto al manifestarsi di nuove esigenze. I dati comparativi sono generalmente sfavorevoli per il sistema scolastico italiano, soprattutto se prendono in considerazione i risultati conseguiti al livello secondario. Le nostre scuole occupano posizioni di coda nelle graduatorie relative a variabili come la capacità di comprensione della lettura, le competenze matematiche e quelle scientifiche. Altri Paesi hanno cercato soluzioni per migliorare la capacità d’intervento delle scuole, sia accrescendo le risorse per il loro funzionamento, sia predisponendo le strutture conoscitive necessarie per orientare le scelte ai diversi livelli del sistema. Non è stato così in Italia. Nei dieci anni passati le risorse per il funziona mento del sistema sono state progressivamente ridotte, così come si è ridotto il servizio offerto dalle scuole. È stata seguita una linea che ha proceduto in direzione contraria a quella decisa altrove. Alle difficoltà del compito educativo non si è risposto aumentando l’impegno del sistema, ma limitando l’offerta di istruzione e lasciando che l’onere dell’adattamento al compito di apprendimento ricadesse in misura sempre maggiore sugli allievi e sulle loro famiglie. Tutto ciò è avvenuto in un contesto in cui i dati comparativi sono stati usati in modo strumentale per giustificare le contraddizioni della politica scolastica. La diminuzione delle ore settimanali di lezione avrebbe dovuto allineare le condizioni di funzionamento delle nostre scuole con quelle degli altri paesi industrializzati. Tabelle alla mano, è stato affermato che gli orari settimanali erano, per gli allievi delle scuole italiane, più pesanti di quelli degli altri Paesi Ocse (è come dire degli altri Paesi industrializzati). Quel che non è stato detto, e che le comparazioni non mostrano se le variabili prese in considerazione in un tempo B sono le medesime che erano state considerate in un tempo A significativamente precedente, è che l’orario delle lezioni ormai costituisce solo una parte dell’offerta educativa della scuola. La diminuzione degli orari delle lezioni nelle scuole italiane ha ulteriormente aggravato lo svantaggio che da tempo si andava registrando per il fatto che nel nostro sistema scolastico l’orario delle lezioni coincide sostanzialmente con l’orario di funzionamento delle scuole. Altrove, l’offerta educativa comprende, in aggiunta alle lezioni, opportunità di applicare gli apprendimenti, di sviluppare interazioni fra pari, di manifestare interessi, di approfondire operativamente la conoscenza della natura, di dedicarsi alla musica e alle arti. Le scuole sono sempre di più la sede in cui l’educazione formale (quella che propone un apprendimento organizzato) incontra quella informale, implicita nelle condizioni della vita quotidiana. Tra il sistema scolastico italiano e quello degli altri Paesi industrializzati esiste ormai una differenza che rende poco significative le comparazioni. Che senso ha confrontare profili di allievi che fruiscono di quattro o cinque ore di scuola con quelli di chi è impegnato per un tempo anche doppio in attività che hanno implicazioni positive sull’apprendimento? Una priorità nel definire una nuova politica per lo sviluppo della scuola non può che essere di riprendere un cammino virtuoso di avvicinamento ai sistemi educativi del resto d’Europa.
L’Unità 16.11.11