Dire che hanno marciato divisi per colpire uniti, sarebbe troppo. Tuttavia i vari soggetti del mondo produttivo e del lavoro, che ieri sono strati ricevuti dal presidente del Consiglio incaricato, Mario Monti, hanno fornito una serie di indicazioni comuni, sia pur con sottolineature differenti. Crescita, equità nella distribuzione dei sacrifici, urgenza nelle misure, concertazione, sono state le istanze condivise. A cui – a seconda degli interessi rappresentati – si sono aggiunte altre richieste.
Alle 15, dunque, Mario Monti ha ricevuto nel suo studio di senatore a vita, a Palazzo Giustiniani, le rappresentanze del mondo imprenditoriale e i sindacati. Ma mentre le prime si sono presentate unite in un’unica delegazione e con un pacchetto di richieste previamente concordate in una riunione avvenuta alle 13 nella sede di Confindustria, i secondi hanno sfilato separati.
Gli imprenditori – Confindustria, Abi, Ania, Alleanza delle cooperative e Rete Imprese Italia – hanno, in sostanza ripresentato l’agenda in cinque punti che era già stata sottoposta, senza particolare successo, al governo uscente: previdenza, liberalizzazioni dei servizi e delle professioni, patrimoniale ma solo per restringere il cuneo fiscale a favore di lavoratori e imprese, riforma fiscale, riduzione dei costi della politica. Per tutti questi soggetti – presenti nella delegazione con i loro più alti esponenti – ha parlato al termine dell’incontro il leader di Rete Imprese, Ivan Malavasi. Ma, all’uscita dal palazzo, ha scambiato alcune battute con i giornalisti anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, del cui intervento si sono colti soprattutto due spunti: il fatto che parlando di Monti abbia utilizzato due imperativi esortativi, e cioè «collaboriamo» e «supportiamo», e il fatto di aver smentito – su domanda di un cronista – ogni illazione su una sua partecipazione diretta al governo.
Più articolata la posizione dei sindacati. Raffaele Bonanni della Cisl è apparso entusiasta del professore che ha esortato a siglare un nuovo «patto sociale» tra governo e parti sociali al fine di evitare attriti e scelte verticistiche e ha fornito, come criterio, quello di compaginare «rigore ed equità», secondo il principio – largamente condiviso anche da molte forze politiche – per cui «chi più ha più deve dare» e che «non esiste rigore che non parta dalla crescita». Anche Luigi Angeletti della Uil ha sottolineato punti analoghi: «Non abbiamo posto alcun veto al professor Monti, al quale abbiamo però detto che ogni riforma deve essere funzionale alla crescita». Dietro questa istanza è legittimo leggere il rifiuto di ogni logica di tagli lineari alla spesa.
Meno entusiasta è apparsa la segretaria della Cgil, Susanna Camusso («aspettiamo annunci concreti sul programma»), la quale tuttavia – ha molto lodato la scelta di Monti di sentire le parti sociali pur non essendo tenuto a farlo. Dopo di che ha indicato, anche lei, la necessità di un «patto» che ha definito di cittadinanza e che deve iniziare dalla materia fiscale, secondo un criterio di «equità». Camusso ha anche esplicitamente fatto riferimento alla patrimoniale e ha sollecitato «una politica per il lavoro che cominci con la riduzione della precarietà».
Dopo le forze sociali, Monti ha anche incontrato le rappresentanze degli enti locali, e anche loro hanno sollecitato un patto, questa volta «interistituzionale» e orientato ad una «crescita equa per la coesione sociale». Quanto alle istanze politiche, va sottolineata quella per una piena attuazione del federalismo fiscale.
La Stampa 16.11.11