Non molto tempo fa, era il pomeriggio del 14 settembre, al termine degli scontri avvenuti tra Polizia e Cobas mentre la Camera stava votando l´ennesima manovra economica, tra fumi e volantini qualcuno ha visto, debitamente spiaccicati sul selciato di piazza Montecitorio, delle frattaglie. Per l´esattezza, come riferito dai giornali, un cuore e un fegato di bue, lì plausibilmente recapitati dai manifestanti per rafforzare l´idea della «macelleria sociale».
Intravedere premonizioni e azzardare metaforiche analogie, tanto più se stomachevoli e sanguinolente, può essere rischioso e addirittura ridicolo. Ma se proprio non si riesce a resistere alla tentazione, sempre appellandosi all´indulgenza dei protagonisti e degli addetti ai lavori, è almeno onesto far presente che oltre a quella sociale esiste forse anche una macelleria politica o post-politica che, in ogni caso con i dovuti tagli, pezzature, brandelli, lacerti e frattaglie da bancone – e in vendita a vari prezzi, come ormai si è capito.
Ieri pomeriggio alle 18,41 l´agenzia Agi ha emesso un dispaccio che metteva in fila l´ordine e le denominazioni dei 34 gruppi con i quali il presidente incaricato Monti si stava via via consultando nel cupo teatro del Palazzo Giustiniani in un momento drammatico della storia nazionale.
E davvero suona a vuoto l´ironia per il numero dei partitelli che costantemente prolifera in queste liturgie sempre più vuote e mortifere, e a nulla serve sbertucciare gli atteggiamenti pretenziosi e compiaciuti, gli scaltri arrembaggi e le sgomente fissità dei consultati davanti alle telecamere, gli sguardi e le parole rivolte a torme di giornalisti rintronati dalla noia. Cosa accada nei colloqui è patrimonio dei retroscena. Ma tra il podietto e di solito una commedia assurda e crudele.
Perché dall´altra parte della barricata in genere si ride della distanza vertiginosa che intercorre fra le denominazioni dei vari monconi e le vivide cause che nella realtà ne segnano la nascita e l´esistenza e quindi garantiscono ai loro fondatori quel quarto d´ora di visibilità di cui parlava Andy Warhol. Nelle interminabili attese sono buffe anche le sorde e nascoste ostilità fra gli animatori, e ancora di più le sigle e delle ragioni sociali e irreali, con il che per puro scrupolo documentario varrà la pena segnalare che a questo giro c´è un´entità che si chiama «Maie», un´altra «Vn» e un´altra ancora «Mre».
Così come forse non tutti sanno che ieri nella Sala delle Colonne, e per la precisione sotto un affresco di scuola manierista che raffigurava una ignota Virtù fra due colonne tortili, sono sfilati l´uno distinto e distante dall´altro: «Io Sud», «Noi Sud», «Noi per il Partito del Sud», «Forza del Sud», «Alleati per il Sud» e infine la «Lega Sud Ausonia» che per maggior sicurezza completa il suo indirizzo con una parentesi entro cui si colloca l´impegnativo e anche un po´ preoccupante marchio «Grande Sud».
Nessun giornalista ormai riesce a tenere a mente le gerarchie e il brulichio che avviene in quel mondo sempre più separato dalla vita. Ma certo ieri l´ambientazione non poteva essere più adatta a quelle grottesche visioni. Non brutto, per carità: non per caso Borromini gli diede il tocco finale. Eppure, soffocato com´è tra vicoli e anguste vie, fra gli edifici del potere Palazzo Giustiniani è senza dubbio il più tetro, quello entro il quale non riescono a filtrare i raggi del sole, e anche per questo ribattezzato «la tomba». Il povero Enrico De Nicola, che come capo provvisorio dello Stato non volle andare ad abitare al Quirinale e qui fu sistemato alla meno peggio con qualche impiegato del ministero della Real Casa, lo definiva «una spelonca» e provenendo dalla solare e ridente Torre del Greco non riusciva a capacitarsi di non poter sapere, appena sveglio la mattina, se fuori stava piovendo o c´era bel tempo.
Il fatto che nella biblioteca sia stata firmata la Costituzione non allevia la sensazione vagamente oppressiva, quell´insieme di virtù archeologica e buia impenetrabilità di cui fino a qualche tempo fa era conferma un´ambulanza posteggiata più o meno all´ingresso. A lungo il Palazzo ha ospitato il Grande Oriente d´Italia e nel sottosuolo ospiterebbe una enorme stele funeraria egizia, di cui si ricordano vane ricerche. Oggi ci abita Schifani, ci sono gli uffici dei senatori a vita e Monti ci fa le consultazioni, come a suo tempo, nel 1993, ce le fece Carlo Azeglio Ciampi.
Ma da allora occorre riconoscere che tutto è drammaticamente peggiorato. E se una ventina d´anni orsono il sistema politico pareva obiettivamente sottoposto a una frammentazione, e dieci anni fa con qualche pessimismo si potevano cogliere i segni di una dissoluzione del modello democratico in senso personale, aziendale, cortigiano e tendenzialmente plebiscitario, beh, oggi la triste e allarmante processione dei 34 confessa che la vita pubblica italiana è in uno stato di evidente decomposizione.
Tutto porta a pensare che dietro la fredda cortesia e la gentile disponibilità del professor Monti, egli abbia potuto toccare con mano il livello del ceto politico, l´orizzonte progettuale, le riserve di entusiasmo, la tensione morale. E tutto può essere, anche che di qui si riparta verso una stagione incognita, faticosa, agitata. Ma si riparta.
Però la triste filastrocca dei brandelli sparsi negli emicicli di Montecitorio e di Palazzo Madama, così come il serraglio di risentimenti che ne determinano la vita quotidiana, non lasciano sperare granchè. Non resta che affidarsi alle virtuose figure, invero scolorite, che campeggiano sui muri della Sala delle Colonne. Fino a qualche anno fa, in fondo, nemmeno si potevano vedere, coperte com´erano da intonaco e tappezzerie. A questo servono i restauri. E´ questa una metafora più aggraziata e positiva del ritrovamento del cuore e del fegato di bue davanti alla Camera. Stai a vedere che l´arte vince sulla macelleria del supermarket politico.
La Repubblica 15.11.11