E´ fatta. E´ finita. Pierluigi Bersani si accende un sigaro nel suo ufficio alla Camera, prima di affrontare l´entusiasmo dei militanti nella sede storica di via dei Giubbonari e prima di scendere, con loro, in piazza. Scorrono i titoli di coda. Il segretario del Pd può lasciarsi andare: «E´ il giorno della liberazione! Tutti, chi più chi meno, hanno portato un sassolino per arrivare a questo passaggio di importanza incalcolabile». Berlusconi – dice Bersani – è caduto in Parlamento nel rispetto delle regole ma dietro c´è la nostra forza, la forza reale del Pd, che non è il partito a impronta personalistica del “ghe pensi mi” ma un partito solido, democratico, che discute, e ha scelto compatto di appoggiare un governo di emergenza». Strana serata per la sinistra, il senso di euforia non scaccia la prudenza. I nodi sono tanti: la composizione del governo, il caso Letta, che poi, però, si risolve nella notte con un passo indietro. E sul quale Bersani dice: «Non ne facevo una questione personale ma a chi chiedeva garanzie politiche ho sempre detto: per noi la garanzia è Monti». E lui, e Bersani? Quale sarà il suo destino politico? Se si fosse andati subito ad elezioni sarebbe stato il candidato premier. Persa l´occasione della vita? Aspira il sigaro e sorride: «Non mi interessa di vincere sulle macerie».
Bersani, un giorno da ricordare.
«Credo che ognuno di noi abbia in questo momento emozioni e riflessioni personali. Io ricordo cosa dissi quando partii con le primarie: “Il più antiberlusconiano di tutti sarà quello che lo manderà a casa…”».
Allora è lei il più antiberlusconiano.
«No, è il Pd. Da due anni a questa parte abbiamo iniziato a denunciare la gravità della situazione e non ci siamo mai accodati ai cori di complemento nella fase dell´omaggio alle fortune berlusconiane».
I cori di chi?
«Non scendo nei dettagli. Parlo di un largo conformismo a cui si è sempre contrapposto il pensiero autonomo del Pd. Abbiamo sempre avuto come punto fermo il tema democratico e sociale e sempre lavorato perché l´opposizione non si dividesse tenendo il filo tra la piazza e il Parlamento. E´ il nostro Dna, nuova o vecchia generazione che sia. Rappresentiamo una cultura politica nazionale e democratica».
E adesso arriva Monti. I sondaggi vi danno vincenti ma non ci saranno elezioni. A metterla sul personale, lei “rischia” di non incassare il risultato del suo lavoro…
«Non mi interessa di vincere sulle macerie. Mi interessa il futuro del Pd, un partito che non ha ancora quattro anni, battezzato al Lingotto e poi con le primarie. Ma il vero battesimo avverrà proprio attraversando questa crisi, la più grande dal Dopoguerra. Un passaggio che non sarà breve. Scommetto che il Pd si affermerà come un grande partito riformista di governo e nazionale. Se non è questo non è».
Come sarà il governo Monti, un governo di tecnici o di politici?
«Me lo aspetto di prevalente contenuto tecnico, direi di caratura tecnica. Se si parla di politica si parla di esperienze d´area, di società civile».
Monti è un liberale, non affronterà la crisi con le vostre ricette…
«Non a caso questo è un governo di emergenza e transizione, né larghe intese né grande coalizione, nel quale potranno esserci le tracce di alcune cose che dobbiamo fare e nel quale ognuno prende la sua parte di responsabilità. E´ chiaro che la grande opera di ricostruzione potrà avvenire solo con il sostegno del popolo, cioè solo con le elezioni».
I detrattori parlano di “governo delle banche”.
«Bisogna intendersi su cosa significa banche. Le banche sono i luoghi dei banchieri ma anche i luoghi dove si custodiscono i soldi dei risparmiatori e credo che questa sia una preoccupazione di Monti. Il tema della fiscalità è il tema che ci differenzia dall´Europa, così come l´evasione, la pletora della Pubblica Amministrazione, le liberalizzazioni. Tutto questo è in sintonia con l´ottica liberale di Monti. Credo che sia a lui ben chiaro che la micidiale diseguaglianza sociale che affligge il Paese imbriglia la crescita. Quando Monti parla dell´abolizione dei privilegi, non evoca forse il tema dell´equità?».
Via Berlusconi, rimane il berlusconismo.
«Non abbiamo ancora risolto l´esperienza del berlusconismo. La grande discussione, che avrà i suoi riverberi nella futura campagna elettorale, sarà su due modelli: il modello riformatore di democrazia rappresentativa e costituzionale e il modello populista, dell´uomo solo al comando, diffidente delle regole e della divisione dei poteri, che ha agitato il Paese in questi anni».
Quale sarà, secondo lei, il tratto distintivo, il segno di discontinuità, di questo governo nascente?
«Me lo aspetto improntato a criteri di sobrietà e concentratissimo a risolvere i problemi degli italiani che vivono normalmente, siano essi elettori del Pd o del Pdl».
Torno sul personale. E se Bersani avesse perso definitivamente il treno di una possibile futura presidenza del consiglio?
«Le rispondo così: la vita è bella e lunga».
La Repubblica 13.11.11
******
Bersani riunisce i suoi: «La politica non abdica noi faremo le riforme», di Simone Collini
Bersani a colloquio con Monti parla di «discontinuità» ed «equità». Poi riunisce i deputati del Pd: «Emergenza ma la politica non abdica». L’obiettivo è discutere in Parlamento legge elettorale e riforme istituzionali. «E questa sera prendiamoci cinque minuti per un brindisi». Bersani riunisce i deputati del Pd al secondo piano di Montecitorio, mentre sotto il Transatlantico inizia ad animarsi in attesa del voto sulla legge di stabilità. Non è una seduta come le altre, quella che sta per cominciare. «È il sipario che scende su una lunga e dolorosa pagina della storia politica italiana», dice Franceschini. Bersani davanti ai suoi gioca la carta dell’orgoglio di partito, perché i due risultati Berlusconi a casa e governo di emergenza non ci sarebbero stati senza l’impegno del Pd, «un partito che dipingono come anarchico ma che si è visto in un momento delicato come questo come è solido».
DISCONTINUITÀ ED EQUITÀ
Ma ora bisogna guardare al futuro. In un colloquio con Mario Monti, Bersani ribadisce la disponibilità del Pd a sostenere il nuovo governo, insistendo sul fatto che il suo partito chiede «discontinuità» rispetto al precedente esecutivo e misure economiche «nel segno dell’equità». Al neosenatore non chiede elementi di garanzia, e anzi prima di andare insieme a Enrico Letta all’incontro aveva spiegato ai suoi che per il Pd «elemento di garanzia è Monti stesso, non c’è bisogno di averne altri». Però il no alla presenza di esponenti del governo Berlusconi, Gianni Letta compreso, viene messo sul piatto nel momento in cui il leader del Pd fa sapere di vedere con favore un governo composto di soli tecnici. Non un vero e proprio veto, ma il Pd sa che alla presenza o meno di Letta nel nuovo governo è legato anche l’atteggiamento dell’Idv. In un colloquio con Di Pietro, Bersani è tornato a sottolineare la necessità di una «assunzione di responsabilità da parte di tutti», e anche se l’ex pm ora ha archiviato il niet dei giorni scorsi (dice anzi «aspettiamo con fiducia il professor Monti»), ha anche fatto sapere che con Letta dentro l’Idv non potrà esserci il suo sostegno: «Non può entrare il Richelieu di un governo piduista come quello di Berlusconi, è come se ci fosse chi ha fatto il palo mentre il complice svuotava la cassaforte».
FASE D’EMERGENZA
Ma è più su un’altra questione che ora Bersani sta lavorando. Tra i parlamentari c’è chi teme una cessione di sovranità di fronte a un governo tecnico. Un timore che il leader del Pd vuole fugare prima ancora che l’operazione entri nel vivo: «Noi siamo generosi, adesso siamo in una fase d’emergenza, ma la politica non abdica e non va a casa come qualcuno scrive sui giornali», dice davanti a tutti i deputati riuniti a Montecitorio. Dice anche che «ognuno si deve prendere le sue responsabilità», che «o si va amessaosistaacasa»,e che il Pd ha «deciso di andare a messa per il bene dell’Italia». Parole riferite all’atteggiamento di chi, come l’Idv, annuncia che potrebbe decidere legge per legge come votare. Ma è anche un ragionamento, quello che fa Bersani, rivolto a chi avrebbe preferito far entrare politici nel nuovo governo. Anche la squadra dei sottosegretari potrebbe essere totalmente composta di personalità autorevoli ma non provenienti dai partiti. E tra i deputati c’è chi si domanda come potrà esserci un positivo raccordo tra Parlamento e governo, in questo caso.
SBAGLIATO FISSARE SCADENZE
Bersani vuole fugare ogni timore e anzi esorta i suoi a «non stare sulla difensiva» in questa partita. Assicura che «la politica avrà i suoi spazi» anche perché nei prossimi mesi «si dovranno affrontare le riforme, quella istituzionale e quella della legge elettorale». Una frase per lanciare due messaggi. Il primo, il Parlamento sarà comunque centrale. Il secondo (tenendo conto del fatto che le riforme costituzionali richiedono almeno dodici mesi di tempo per l’approvazione) il nuovo governo non durerà solo fino a primavera come vorrebbero Berlusconi e anche Vendola e Di Pietro. Sulla linea di un governo Monti che completi la legislatura sono d’accordo anche Franceschini, Letta e Veltroni. E se il Pdl ha condizionato il sì a Monti a patto che non si presenti alle prossime elezioni, nel Pd c’è chi come il deputato Dari Ginefra sostiene che se il nuovo esecutivo sarà subito impallinato, il neosenatore dovrà essere il candidato premier dell’alleanza tra centrosinsitra e Terzo polo.
L’Unità 13.11.11