Troppo vecchi per lavorare, ma troppo giovani per andare in pensione. Lasciati a macerare in un limbo esistenziale ed occupazionale senza alcuna altra risorsa che la propria capacità di arrangiarsi, di farsi aiutare da familiari o amici,di inventarsi un espediente per tirare a campare fino al raggiungimento della sospirata anzianità. I sociologi e gli economisti li chiamano educatamente lavoratori maturi. Le aziende, con il solito linguaggio diretto, li definiscono semplicemente esuberi. Occupazione anziana in calo. Sono centinaia di migliaia di italiani, i dipendenti tra i 55 e i 64 anni di età, quelli risparmiati dalla fase iniziale della crisi economica, quando da sacrificare c’erano ancora interinali e precari. Ma che dal 2010, con il perdurare delle difficoltà, rischiano di venire man mano esplulsi dal mercato del lavoro. A differenza dei colleghi più giovani, con ben poche possibilità di rientrarvi. «Dallo scorso anno, con il progressivo scadere di tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione, è cominciata la fuoriuscita dal mercato dei lavoratori stabili» spiega Claudio Treves della segreteria confederale Cgil. «Il che farà abbassare ulteriormente il tasso dell’occupazione anziana in Italia, che già oggi al 38% si trova ai livelli minimi dell’Unione europea». Per quasi 50mila di queste persone, però, il paradosso del troppo vecchio e troppo giovane si è già trasformato in un incubo. O meglio, in un inganno messo a punto da leggi statali ed incurie ministeriali. La lotteria dei diecimila. Quando il governo decise l’allungamento delle finestre previdenziali per arrivare alla pensione di 12 mesi per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi, i sindacati contrattarono una deroga per i lavoratori che fossero stati messi in mobilità in seguito ad accordi aziendali firmati entro il 30 aprile 2010, in modo da garantire loro il raggiungimento della pensione al termine del periodo di mobilità. La platea dei potenziali interessati venne stimata in 10mila persone e l’Inps fu incaricata di compilarne la lista, con l’intesa che, se gli aventi diritto fossero stati di più, un decreto interministeriale Tremonti-Sacconi avrebbe provveduto ad estendere la deroga. E dè a questo punto che il meccanismo si è inceppato, perché «l’Inps ci ha messo due anni a preparare la lista in questione e a calcolare in almeno45mila le persone interessate,ma il governo non ha mai provveduto ad emanare il decreto pattuito» denuncia Treves. Tra i tanti problemi insoluti che il dimissionario esecutivo Berlusconi lascia dietro di sé, c’è anche il dramma di 35mila dipendenti – quelli il cui nome non comparirà nella famosa lista Inps, completata solo la scorsa settimana e chiusa ai licenziamenti effettuati entro il30 ottobre 2008 – che dopo una vita di lavoro si troveranno senza nulla con cui sopravvivere per un anno o un anno e mezzo. «Da ottobre le sedi dell’Inps sono affollate da uomini e donne che, finita la mobilità, vanno a chiedere notizia della propria pensione. Purtroppo non ricevono nemmeno una risposta chiara» conclude il dirigente Cgil. Il dramma dei senza reddito. E la rabbia per l’ingiustizia subita si aggiunge all’angoscia di un futuro senza alcuna certezza. «Lo scorso luglio avrei dovuto ricevere il primo accredito della meritata pensione, dopo 40 anni effettivi di lavoro. Invece ho ricevuto una raccomandata dall’Inps che mi informava che non era stato possibile accogliere la mia domanda, perché era ancora in corso d’accertamento il mio diritto secondo la legge 122 del 2010» racconta Maurizio Vitale, ex bancario di Gessate, in provincia di Milano. «E io con cosa mangio nel frattempo? Con cosa vado a fare la spesa? Come pago il mutuo? ». Roberto Fenini, ex metalmeccanico dell’Abb di Lodi, avrebbe dovuto andare in pensione dal prossimo gennaio: «Invece l’Inps mi ha detto che non sono nella lista e che maturerò la pensione nel 2014, e il patronato Acli nel 2013 o nel 2017. E io come camperò fino ad allora?». È la domanda che tormenta da mesi quasi 50mila lavoratori e lavoratrici, come Maria Pia Castellani di Roma, «la lotteria dei 10mila è una soluzione schifosa », e come Ignazio Delussu di Nuoro, «di punto in bianco mi vedo cambiate le carte in tavola e l’azienda dalla quale sono stato messo in mobilità non ne vuole sapere di riprendermi, nemmeno a tempo determinato». Persone disperate come Mario Russo di Napoli, «ci hanno buttati in mezzo alla strada senza percepire alcun reddito», e arrabbiate come Stefano Spironello di Porto Marghera, «ho iniziato a lavorare giovanissimo, durante le pause estive dagli studi andavo in fabbrica alla Montedison, alla Sava o alla Sade negli stabilimenti, ed oggi mi sento offeso quando qualcuno si strappa le vesti sentendo che ci sono 58enni che hanno il diritto alla pensione». Non c’è analisi politica o necessità economica che regga di fronte all’interrogativo posto da Enzo Cozzolini, ex operaio di Livorno: «I nostri governanti si rendono almeno conto che stanno giocando con le nostre vite? ».
L’Unità 13.11.11