"I 42 mesi che non cambiarono l'Italia", di Mattia Feltri
La storia del IV governo di Silvio Berlusconi è la storia di un’occasione buttata. Era una prateria, non un Parlamento, quello che il premier si trovò davanti il 14 maggio del 2008 quando ottenne alla Camera una copiosa fiducia di sessanta deputati, 335 a 275. Di comunisti non ce n’erano. Fatti fuori dai loro stessi fallimenti, dalla legge elettorale e dal sistema di alleanze voluto dal candidato di sinistra, Walter Veltroni. C’era un’aria di pacificazione, persino la speranza che sarebbe stata una legislatura costituente, di passaggio a un bipolarismo meno farabutto. Berlusconi e Veltroni si stringevano la mano in aula e si davano appuntamento per pranzo. Il discorso del presidente del Consiglio, aperto a riforme condivise, era stato applaudito e la risposta di Veltroni – orgogliosa e non supina – conteneva un elemento fondamentale: yes we can, se po’ fa’. L’esecutivo era in stato di grazia. Sembrava che Napoli fosse stata buttata in lavatrice e stesa all’aria del golfo. La confusa manovra di salvataggio dell’Alitalia procedeva nello sventolio dei patriottici. Giulio Tremonti già lavorava alla …