attualità, politica italiana

"Buonanotte", di Massimo Gramellini

Oggi è il giorno che chiude un ventennio, uno dei tanti della nostra storia. E il pensiero va al momento in cui tutto cominciò. Era il 26 gennaio 1994, un mercoledì. Quando, alle cinque e mezzo del pomeriggio, il Tg4 di Emilio Fede trasmise in anteprima la videocassetta della Discesa In Campo. La mossa geniale fu di presentarsi alla Nazione non come un candidato agli esordi, ma come un presidente già in carica. La libreria finta, i fogli bianchi fra le mani (in realtà leggeva da un rullo), il collant sopra la cinepresa per scaldare l’immagine, la scrivania con gli argenti lucidati e le foto dei familiari girate a favore di telecamera, nemmeno un centimetro lasciato al caso o al buongusto.

E poi il discorso, limato fino alla nausea per ottenere un senso rassicurante di vuoto: «Crediamo in un’Italia più prospera e serena, più moderna ed efficiente… Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano». Era la televendita di un sogno a cui molti italiani hanno creduto in buona fede per mancanza di filtri critici o semplicemente di alternative. Allora nessuno poteva sapere che il set era stato allestito in un angolo del parco di Macherio, durante i lavori di ristrutturazione della villa. C’erano ruspe, sacchi di cemento e tanta polvere, intorno a quel sipario di cartone. Se la telecamera avesse allargato il campo, avrebbe inquadrato delle macerie.
Oggi è il giorno in cui il set viene smontato. Restano le macerie. La pausa pubblicitaria è finita. È tempo di costruire davvero.

La Stampa 12.11.11

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“E venne il giorno delle dimissioni”, di FILIPPO CECCARELLI

Suona incredibile, ma oggi Silvio Berlusconi firma la sua bella lettera di dimissioni. Cinque mesi orsono, dopo la scoppola elettorale di Milano, il presidente del Consiglio se ne uscì con una battuta anche divertente nella sua meditata e fulminea spacconeria: «Ho troppi impegni – disse – per partecipare al mio funerale». Anche allora c´era chi annunciava che il Cavaliere avrebbe potuto gettare la spugna o mandare tutti a quel paese e andarsene chissà dove. Eppure nessun´altra battuta più di quella del funerale mette a nudo l´intima concezione del potere non solo di Berlusconi, ma di tutti coloro che lo detengono, in ultima analisi, come l´unico vero e segreto rimedio per ingannare la morte. Lo scrive Elias Canetti in Massa e potere (Adelphi, 1981) e non si può pretendere che lui l´abbia letto, ma è un vero peccato.
Alla fine di ottobre Fedele Confalonieri, richiamando i film di cappa e spada, è arrivato a profetizzare «un bel finale». In realtà le dimissioni prima promesse e poi accelerate di gran corsa sotto la spinta del discredito dei mercati onestamente lo smentiscono. Il perfido Economist saluta Berlusconi con la frase con cui terminano i cartoni animati dei Looney tunes: «That´s all folks!», è tutto, ragazzi, basta. E il fatto che in copertina, oltre a lui, ci siano donne più o meno discinte farà anche cortocircuito con Bug´s Bunny e il Gatto Silvestro, ma certo allevia la circostanza rendendo il congedo britannico quasi aggraziato.
Qui in Italia, d´altra parte, bisogna ammettere che l´eventualità secondo cui Berlusconi avrebbe lasciato la poltrona prima del 2013 in modo normale, pacifico e perfino istituzionale è stata a lungo considerata remota, improbabile se non addirittura irreale. E se ancora oggi predomina un senso d´incredulità non è solo perché manca una certificazione simbolica o catartica dell´evento, ma anche perché questa fine di regno, questo giro di pagina, questo cambio d´epoca sono stati fin troppo intensamente attesi e al tempo stesso fin troppo crudamente fantasticati. Ma poi regolarmente smentiti, spedendo al macero nel dileggio dei fedeli berlusconiani la più abbondante quantità di coccodrilli.
Eppure, la coincidenza che l´uomo delle ricchezze, delle aziende e del lusso sia stato scacciato proprio dalla Borsa e dai grandi investitori finanziari non appare del tutto scontato e farebbe già abbastanza impressione. Ma se si aprono le cartelline dell´immaginario e si guarda al recente passato ecco che subito si è sommersi da un carosello di richiami alla Bibbia, al tirannicidio, alle recenti tragedie belliche e recentissime di Mani Pulite, come pure alle ultime sequenze e inquietanti – tumulti sulle scale del Palazzo di Giustizia di Milano, bagliori d´incendio all´orizzonte – de Il Caimano, peraltro mandato in onda, dopo diverse censure, nel giugno scorso su Rai3.
Tra Veronica, Fini, Ruby e Mills la faccenda della «fine» pareva delegata ai giudici, agli ex alleati e/o allo sgomento della pubblica opinione per le note vicende, che peraltro non finivano mai. Ma Berlusconi, che come combattente non ha pari nel ceto politico italiano, non ne voleva sapere, stringeva le fila e teneva duro fino al punto che quando in primavera i suoi stessi elettori gli espressero sfiducia per ben due volte, a Milano e ai referendum, con istinto predatorio non esitò ad appropriarsi proprio del motto che il Procuratore capo di Milano Borrelli aveva lanciato contro di lui: «Resistere, resistere, resistere».
Per la verità la parola «dimissioni» non rientrava nemmeno nel discorso, era impronunciabile anche quando lo smantellamento del sistema di potere sembrava più che evidente. Via Geronzi, via Masi, via Bisignani, fallito don Verzè, in galera Lele Mora, messi maluccio Ligresti e Doris, interrogati il maggiordomo alfredo e la segretaria marinella. Ciò nondimeno per mesi e mesi si adoperò l´attenuata e ipocrita formula democristiana del «passo indietro» (per lui invocato dal presidente Scalfaro nel discorso di capodanno del 1994).
Ma al tempo stesso, più lui si ostinava e più nella publicistica riemergevano in forma ora greve e ora frivola, ora minatoria e ora farsesca, figure mitiche come Sansone, che si lasciava morire con tutti i filistei del centrodestra, oppure terribili momenti anche remoti di storia patria: dall´assassinio di Giulio Cesare (oltretutto certi figuri della P3 chiamavano Berlusconi proprio così) agli ultimi giorni di Mussolini fra Salò, Dongo e Piazzale Loreto, fino alle monetine di Craxi sotto il Raphael. Inutile dire – ed è documentabile – che a questo roteare di archetipi per lo più sanguinolenti diede il suo contributo anche il personaggio che stamattina rimette il suo mandato nelle mani di Napolitano.
Però siccome l´Italia è l´Italia, la varietà è sempre assicurata e debitamente colorata per cui in quello che ormai era divenuto un genere sarebbe ingeneroso trascurare la vittoria di Vecchioni a Sanremo con l´interrogativo sulla durata «della lunga notte italiana», appunto, e la comparsa di un pupazzone tipo punging-ball prodotto dalla Extreme Design e significativamente designato come «Silvio Sempre In Piedi»; cosi come, sempre nel comparto dimissioni, sarebbe ingiusto dimenticare l´irruzione dei bookmakers e uno sventolio di improbabili salvacondotti e presunte norme amnistiali.
In più c´era pure il partito di quelli che «Berlusconi è stanco, li manda tutti a quel paese e se ne va», preferibilmente ad Antigua. «Ho la barca a vela più bella del mondo – garantiva lui – Ho fatto rifare gli interni e visto le foto: un vero gioiello». A Castelfranco Emilia il Pd aveva fatto pure una sottoscrizione per comprargli il biglietto. Claudio Baglioni e Lino Banfi testimoniavano che il Cavaliere non ne poteva più. Nel frattempo i suoi amici Ben Alì, che gli mandava il pesce buono, Mubarak e Gheddafi vedevano in faccia la loro, di fine – e anche questo può averlo preparato.
Ma poi il potere non si molla mai volentieri e con fatica e paura ci si abitua a non possederlo più. Pazienza, succede a molti. E comunque, per quanto riguarda tutti: «Non si creda che basti toglierlo di mezzo – ha scritto Barbara Spinelli – perché tutto torni a posto».

La Repubblica 12.11.11

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“LA SINDROME DI ARCORE CHE HA COLPITO L´ITALIA”, di GIOVANNI VALENTINI
Prima o poi, a chiunque di noi potrà capitare di sentirsi rivolgere una domanda dai nostri figli, nipoti o pronipoti: ma come avete fatto, tra il 1994 e il 2011, a fidarvi di Silvio Berlusconi uomo politico e capo del governo, a sopportarlo per 17 anni? Tanto vale, allora, cominciare a prepararsi e provare a rispondere.
Ora che il regime televisivo èarrivato alla fine, mentre spunta l´alba di una nuova Liberazione e speriamo anche di una nuova ricostruzione nazionale, quel sortilegio che ha condizionato per quasi un ventennio la vita pubblica italiana appare sempre più incomprensibile e inspiegabile. E non solo agli occhi degli avversari, ma anche di molti (ex) fan, supporter o addirittura berluscones di antica e provata fede.
Il fatto è che la “sindrome di Arcore”, come quella di Stoccolma che fa innamorare il rapito o la rapita del suo carceriere, ha fatto innamorare gli italiani – o almeno una larga partedi essi – del loro tiranno mediatico. Non sarebbe corretto attribuire questa infatuazione collettiva soltanto alla televisione, al potere o allo strapotere mediatico che il Cavaliere ha esercitato sulla società italiana a partire dalla metà degli anni Ottanta, cioè dall´avvento della tv commerciale, ben prima della sua fatidica “discesa in campo”.
Nessuno ha mai sostenuto che Berlusconi abbia vinto per tre volte le elezioni solo per le sue televisioni. Ma, in mancanza di controprove, si può legittimamente ipotizzare che forse senza le tv non le avrebbe vinte.
È certo, comunque, che il fenomeno ha contagiato purtroppo anche una parte degli avversari, in un processo imitativo e mimetico che non ha risparmiato neppure alcuni settori ed esponenti della sinistra. Quella che occorre, allora, è innanzitutto una svolta nella vita civile del Paese, un´alternativa culturale e sociale, non soltanto un cambio di governo. Ecco perché la personalizzazione della politica, favorita dalla rappresentazione mediatica e in particolare dalla spettacolarizzazione televisiva, a questo punto deve cedere il passo all´elaborazione dei contenuti, dei programmi, delle idee.
Per evitare dunque che il post-berlusconismo risulti anche peggiore del berlusconismo, occorre inoculare nel corpo sociale quelli che Paolo Sylos Labini chiamava gli “anticorpi”, da cui ha preso il titolo una riuscita collana dell´editore Laterza. E cioè, la capacità d´indignarsi e di reagire, l´intransigenza, la trasparenza, l´onestà pubblica e privata. Una vaccinazione di massa, insomma, per rafforzare le difese immunitarie contro i virus endemici della corruzione, del clientelismo, del populismo mediatico, della demagogia, del trasformismo che tende a degenerare nel camaleontismo.
È dal sistema della comunicazione che bisogna partire per rivitalizzare il rapporto tra informazione e democrazia, in modo da regolare attraverso il controllo dell´opinione pubblica l´aggregazione e la raccolta del consenso, per garantire un effettivo pluralismo. A cominciare, naturalmente, dal servizio pubblico radiotelevisivo che ne è l´architrave portante.
La tv continua a rappresentare in Italia il veicolo di gran lunga prevalente per l´informazione: quasi il 90%. E le sei reti generaliste di Rai e Mediaset detengono ancora una quota di oltre il 73% di share medio giornaliero. Nel complesso, la televisione rastrella così il 44,8% delle risorse pubblicitarie, rispetto al 15,4% dei quotidiani e al 12,8 dei periodici.
È quanto mai necessario, quindi, quel riequilibrio del mercato che il presidente Ciampi invocava nel 2003 con il suo messaggio alle Camere. Se Mario Monti, già Commissario europeo alla Concorrenza, riceverà l´incarico dal Capo dello Stato e riuscirà a formare un nuovo governo, c´è da auspicare perciò che applichi all´anomalia televisiva italiana lo stesso rigore con cui trattò la Microsoft di Bill Gates. L´antitrust vale a Bruxelles come a Roma.

La Repubblica 12.11.11