La nomina, a sorpresa, di Mario Monti a senatore a vita prelude alla sua designazione, appena sarà approvata in tutta fretta la legge di stabilità, alla guida di un esecutivo di emergenza nazionale. Una mossa che sottrae il nome dell’economista milanese alla contesa politica e ne sottolinea le qualità super partes. È significativo che la scelta di Napolitano abbia la controfirma, non necessaria, di Berlusconi. Il premier uscente, è bene ricordarlo, ebbe il merito di proporre, nel ’94, il presidente della Bocconi come commissario europeo. Il pensiero di Monti è noto ai lettori del Corriere. Il prestigio internazionale è indiscusso. La sua bussola è l’Europa. Non è un freddo tecnocrate, è un italiano appassionato, disposto a svolgere il ruolo di civil servant senza mire personali. È portatore di idee, non di interessi.
Una svolta clamorosa. Indispensabile e indifferibile dopo quello che è accaduto ieri sui mercati: il crollo della Borsa, lo spread fra i nostri Btp e i Bund tedeschi a 553 punti, lo spettro di un default alla greca. La regia del presidente della Repubblica è stata saggia e ferma, agevolata anche dal senso di responsabilità di parte dell’attuale maggioranza. Ma il cammino è terribilmente in salita. Le incognite numerose, a cominciare dalle forze politiche che potranno appoggiare un eventuale esecutivo tecnico.
Il Paese ha vissuto ieri una giornata drammatica. I mercati hanno mostrato di non avere più fiducia in noi. Oltre il 7 per cento nel rendimento dei titoli pubblici, uno Stato entra in una sorta di inferno del debitore. Nessuno o quasi è più disposto a fargli credito. I mercati hanno sempre ragione? No, speculano e si accaniscono sul più debole. Ma ci puniscono perché non siamo credibili e in più ci fanno pagare anche le colpe degli altri. Dobbiamo smetterla di fare il loro gioco. È ora di pensare, veramente, all’Italia. Uno scatto d’orgoglio.
Il segnale dev’essere forte, immediato, comprensibile agli stranieri infastiditi dalle nostre alchimie e dai nostri ritardi. Un esecutivo di emergenza nazionale, con una guida autorevole, può convincere gli investitori esteri che facciamo sul serio. Ridare fiducia a famiglie e imprese. Restaurare l’immagine di un Paese che è solvibile, ricco di primati, valori e talenti. Le forze politiche più consapevoli possono appoggiarlo nel nome dell’interesse comune, disposte a rinunciare al piccolo cabotaggio dei veti incrociati, alla bassa speculazione elettorale. Un tempo sospeso, o una fase di neutralità, consentirebbe ai partiti di riprendere i termini di una normale contesa politica, avviandosi anche alle elezioni, dopo aver messo in sicurezza il Paese. Non si può minimamente pensare di uscire da una crisi di credibilità finanziaria così profonda senza accettare sacrifici, purché questi siano equi e proporzionali, trasparenti e utili per tornare a crescere, creare lavoro e reddito. Ma a una condizione: l’esempio lo deve dare subito la politica, tagliando i suoi costi. E non per finta.
Il Corriere della Sera 10.11.11
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“La riserva della Repubblica”, di Stefano Folli
Se le forze politiche hanno voglia di mostrare senso di responsabilità e intendono sul serio dar vita a un’ampia maggioranza per l’Europa, questo è il momento di dimostrarlo.
Si sta aprendo una finestra di opportunità che durerà alcuni giorni. Ma non molti: diciamo da oggi fino al termine della prossima settimana. In questo lasso di tempo accadranno varie cose. Primo, il Parlamento approverà entro sabato o domenica la legge di stabilità, emendata in sintonia con le richieste europee.
Secondo, Silvio Berlusconi rassegnerà le dimissioni, secondo l’impegno preso con il Quirinale. Terzo, Napolitano individuerà il nome con cui tentare la formazione del nuovo governo. Quarto, le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, saranno chiamate a esprimersi subito, sapendo che l’alternativa a un esecutivo per l’Europa saranno le elezioni.
Quinto punto, deve esser chiaro fin d’ora che Napolitano non si accontenta di un governo debole, basato su numeri parlamentari striminziti e svogliati: l’operazione ha un senso se si crea un fronte compatto, capace di rappresentare una risposta concreta e non solo retorica all’emergenza. Quindi nessun «ribaltone», nessun «tradimento» (secondo il lessico del centrodestra) della maggioranza che vinse nel 2008, ma anche nessun esecutivo affidato alla benevolenza di piccole pattuglie parlamentari in cerca di visibilità.
Questa è la risposta istituzionale al dramma vissuto ieri dalla nazione. L’Italia è sprofondata come non accadeva da decenni, mentre sulla scena internazionale si rincorrevano gli allarmi e le manifestazioni di pessimismo. A Roma si sono vissute ore di sgomento, finchè il presidente della Repubblica ha preso in mano il bandolo della matassa: in primo luogo evitando che le dimissioni posticipate di Berlusconi si trasformassero in una dilazione incomprensibile, contro la quale i mercati finanziari si stavano già scagliando con brutale violenza.
In secondo luogo il Quirinale ha precisato l’agenda dei prossimi giorni e infine, in serata, con un colpo di sicuro effetto, ha nominato Mario Monti senatore a vita. In tal modo ha rafforzato il profilo istituzionale del professore milanese, in vista di futuri incarichi. L’ingresso di Monti in Parlamento consolida, e non poco, quel ruolo di «riserva della Repubblica» che il Quirinale ha disegnato per lui.
Ora sarà più difficile per tutti parlare – con un pizzico di supponenza – di governo «tecnico», visto che il senatore Monti svolgerà nel caso una funzione tipicamente istituzionale, nel quadro di un esecutivo voluto dal capo dello Stato.
Tutto avviene in fretta, poiché la forbice fra i ritmi della politica e l’impeto della crisi finanziaria non è tollerabile. Ma quante probabilità ci sono che le larghe intese per l’Europa prendano forma in questo Parlamento? E’ evidente che nel Pdl post-berlusconiano si sta muovendo qualcosa, che i centrsti di Casini sono determinati e che il Pd risponde all’appello di Napolitano.
Ma vicino al premier uscente si parla di «guerra» ai traditori (il «Foglio» di ieri), mentre la Lega vuole andare all’opposizione dei «tecnici». E sull’altro versante gli scenari non sono migliori. Vendola vuole il voto subito, al pari della Cgil della Camusso, e Di Pietro è contrario a un esecutivo che si limiti ad applicare le ricette della Bce.
Conclusione. In Parlamento la maggioranza per l’Europa può esserci sulla carta, ma forse non avrà la forza sufficiente a governare. In tal caso potremmo assistere a uno sviluppo straordinario: il governo di larghe intese, magari guidato da Monti, potrebbe trasformarsi in un cartello elettorale e presentarsi al voto anticipato in nome del programma europeo. Gestendo, s’intende, le elezioni da Palazzo Chigi.
Il Sole 24 Ore 10.11.11
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“La pressione dei mercati allontana il voto”, di Massimo Franco
L a promessa di dimissioni non è bastata ai mercati finanziari. E questo costringe ad accelerare i tempi dell’uscita di scena di Silvio Berlusconi, per evitare che lo spread fra titoli di Stato italiani e bund tedeschi avvicini il nostro Paese al punto di non ritorno. L’impegno berlusconiano a farsi da parte dopo l’approvazione delle misure di stabilità è suonato ambiguo. Ed è stato bocciato a livello internazionale. Giorgio Napolitano è stato costretto a ribadire che le dimissioni del premier sono «fuori discussione»; e che la legge di stabilità sarà approvata «in tempi brevi»: probabilmente fra sabato e domenica. Ma il Quirinale annuncia anche che o si farà un nuovo governo, o si andrà rapidamente ad elezione anticipate.
La nomina a senatore a vita di una personalità di prestigio come il professor Mario Monti, presidente dell’università Bocconi ed ex commissario europeo, è un indizio della volontà del capo dello Stato di non rinunciare a salvare la legislatura. Si tratta di una mossa per rassicurare i mercati e disarmare le polemiche su un possibile «governo tecnico». Ed è anche la conferma del ruolo determinante che la comunità finanziaria sta assumendo nella crisi italiana. Si parla di un Berlusconi rassegnato alle dimissioni e alla nascita di un governo Monti: anche se la Lega non lo vuole avallare, e con Umberto Bossi un nucleo duro di falchi del Pdl. In poche ore, i sospetti di possibili manovre dilatorie da parte di Berlusconi sono stati rilanciati e perfino esagerati dall’aumento verticale dello scarto fra Btp e titoli tedeschi, oltre la soglia-limite dei 550 punti.
A contribuire a questa accelerazione sono state anche le pressioni dell’Udc di Casini e del Pd di Bersani. Il loro aut aut ha reso meno ostico il compito di Napolitano, chiamato a convincere il governo a fare in fretta. Di rimbalzo sono meno scontate le elezioni anticipate, che il Cavaliere considerava inevitabili. Si tratta di una prospettiva non scongiurata del tutto. Ma se i tempi della crisi si accorciano, aumentano i margini di Napolitano per dare vita ad una nuova coalizione. È verosimile che entro lunedì possa affidare ad un altro presidente del Consiglio, forse proprio Mario Monti, il compito di formare un governo con dentro il grosso del centrodestra e del centrosinistra. E che gli chieda di realizzare la durissima manovra economica chiesta all’Italia dall’Europa per finanziare il suo debito; e sulla quale Berlusconi non offre garanzie, esponendo il nostro Paese alla speculazione.
I sostenitori più irriducibili del premier, come il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, arrivano a criticare quanti hanno detto che «sarebbero bastate le dimissioni di Berlusconi per cambiare le valutazioni della speculazione nei confronti dell’Italia». Dimenticano un dettaglio: il premier in realtà non si è ancora dimesso. E nelle istituzioni finanziarie internazionali, l’ennesimo scarto fra parole e fatti non è comprensibile. Ma questo rende bene l’atmosfera di assedio e di recriminazione che la cerchia berlusconiana vive, illudendosi di scaricare all’esterno le responsabilità del disastro che comincia a delinearsi.
L’assedio, però, ormai parte anche da settori dello stesso Pdl. Umberto Bossi già si sente all’opposizione, e spiega che Berlusconi «è stato tradito dai suoi». Il possibilismo di personaggi come Maurizio Lupi, o del ministro degli Esteri, Franco Frattini, oltre al gruppo del presidente dell’Antimafia, Giuseppe Pisanu, e a Claudio Scajola, prefigura un’implosione. Un «no» alle elezioni anticipate è quello che il premier e la Lega temono di più. Ma nel momento in cui Berlusconi si dimetterà, ogni parametro politico cambierà. E, per quanto difficile, potrebbe spuntare una coalizione che apra un dopo-Berlusconi ormai indispensabile. In tempi brevissimi, sperando che scoppi una tregua nell’offensiva tendente ad affossare l’Italia, e per suo tramite l’euro.
Il Corriere della Sera 10.11.11