Berlusconi si muove sull´orlo del baratro e nelle ore decisive incontra a Milano i figli e il fido Confalonieri, la famiglia e l´azienda, a ribadire la matrice privatista della sua gestione della cosa pubblica. Non sappiamo quando, ma l´albero di Berlusconi cadrà di schianto e le borse voleranno.
Sarà anzitutto un bene per l´Italia perché prima degli interessi di una parte, vengono quelli nazionali, da troppo tempo umiliati e offesi. Dal giorno dopo, si apriranno due possibili scenari che implicano un differente giudizio sulla stagione berlusconiana e una diversa valutazione del grado di drammaticità raggiunto dall´attuale emergenza italiana sul piano economico e civile.
Il primo di essi vede una soluzione della crisi dentro il recinto delle attuali forze di governo con Berlusconi che accetta di fare un passo indietro in favore di Schifani o di Letta in cambio dell´allargamento della maggioranza al Terzo polo. Tale proposta ha il limite di interrogare la solidità del patto politico tra Futuro e Libertà e l´Udc, verosimilmente dividendolo. Ai seguaci di Fini potrebbe bastare un Berlusconi in panchina per rientrare nell´ovile da dove sono stati cacciati, con l´intenzione di capitalizzare il risultato e di provare a riprendersi i voti di destra ancora disponibili in quell´area. Casini, però, ha rotto con Berlusconi prima delle elezioni e quindi l´eventuale passo indietro del Cavaliere non sarebbe una ragione sufficiente a rientrare nei ranghi, tanto più che, seppure nelle retrovie, riuscirebbe ancora a condizionare il gioco della squadra. In fondo una simile soluzione si limiterebbe a prolungare l´agonia dell´attuale maggioranza: un´agonia alla quale il leader dell´Udc, inspiegabilmente, deciderebbe di aggiungere in articulo mortis il suo partito, scegliendo di tornare su una barca che sta affondando, dopo avere avuto il coraggio di abbandonarla quando aveva il vento in poppa.
Il secondo scenario, di gran lunga preferibile in base agli interessi dell´Italia, è quello evocato domenica scorsa da Eugenio Scalfari, ossia un governo di larghe intese o di responsabilità nazionale affidato a un´autorità terza, in grado di rassicurare i mercati e di unire un insieme di forze destinate poi a separarsi di nuovo dopo avere raddrizzato la rotta italiana. Il Pd si è detto disponibile a una soluzione del genere, ma ha contemporaneamente escluso il sostegno a qualunque forma di ribaltone. Si tratta di una posizione comprensibile perché dal 14 dicembre 2010 di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Nel frattempo la crisi economica ha raggiunto un livello tale che non sarebbe possibile affrontarla con un governo privo del sostegno dei vincitori del 2008, non legittimato dal voto popolare e per di più esposto alla mercé di nuovi transfughi, questa volta a parti invertite: ieri Scilipoti, uscito dall´Idv, oggi gli Antonione e le Carlucci, usciti dal Pdl. È un film già visto e dagli esiti paradossali: non solo lascerebbe a Berlusconi e a Bossi una formidabile arma di propaganda in vista delle prossime elezioni, ma caricherebbe sulle spalle delle opposizioni di ieri il peso di interventi strutturali da fare oggi per affrontare un´emergenza non provocata da loro.
In questo ambito, dunque, l´unico scenario possibile, è quello di una grande coalizione tra Pdl, Pd e Terzo polo. Non bisogna, però, far finta di non vedere il nodo politico di fondo: a prescindere dal profilo del presidente del Consiglio, quest´ipotesi, per essere realistica, prevede il coinvolgimento del Pdl e del Pd in un governo comune, una scelta che significherebbe la fine del bipolarismo italiano non per via elettorale, ma per libera scelta delle due forze principali del Paese, in base a una convergenza di interessi che non sembra avere una base politica solida su cui poggiare. Permangono, inoltre, alcune contraddizioni significative: è possibile andare oltre Berlusconi con il sostegno del partito di Berlusconi e salvare l´Italia con l´appoggio di quanti, avendo governato otto anni degli ultimi dieci, hanno svolto un ruolo determinante nel provocare l´attuale situazione? Non a caso, questa proposta diventa improvvisamente evanescente quando si provano a individuare i soggetti del Pdl che potrebbero sostenerla. Un gruppo consistente di volenterosi, che sarebbero subito accusati di alto tradimento, o tutto il partito? Ma è mai credibile che una forza fino a oggi giudicata padronale, sia capace all´improvviso di riscoprire l´autonomia della politica contro la volontà del proprio capo carismatico?
Perché qui sta il punto. Il Pdl in questi anni ha tutelato gli interessi legittimi e persino illegittimi di Berlusconi e proprio la soluzione tecnocratica proposta è quella che il Cavaliere, insieme con la Lega, maggiormente ostacola poiché costituirebbe l´umiliazione più cocente. In una partita come questa contano anche la psicologia e la biologia: Bossi e Berlusconi sono troppo accorti per non sapere di essere due leader ormai al tramonto che non hanno nulla da perdere avendo già giocato nel corso di quasi vent´anni la loro partita e con qualche reciproca soddisfazione. Entrambi vorranno rivendicare il privilegio di scegliere l´arma con cui combattere l´ultima battaglia e sono disposti a farne un punto di onore, levandosi il gusto di guardare in faccia i disertori. Tutto lascia pensare che preferiranno la sfida a viso aperto, chiamando il popolo all´appello su una piattaforma radicale di carattere populista e antipolitico costruita intorno ai rispettivi miti di origine, piuttosto che darla vinta ai traditori di sempre (Fini e Casini) o, peggio ancora, a delle ipotesi tecnocratiche. Berlusconi per contare i fedelissimi di oggi da ricollocare in un Parlamento di domani con una nuova energia contrattuale; Bossi per rigenerare la Lega dall´opposizione su una piattaforma secessionista. La strada delle elezioni sarà quella che Berlusconi e Bossi proveranno a imporre al Paese come prezzo per uscire di scena: a tutela dei propri interessi e contro il bene comune dell´Italia, ma nessuno potrà dirsi stupito di ciò.
La Repubblica 08.11.11