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"Così la Protezione Civile ha fallito la prevenzione" di Roberto Rossi

Mentre nella notte si cercano ancora i dispersi e Genova si lecca le sue ferite scrutando il cielo carico d’acqua, mentre La Spezia, la Lunigiana, l’Alessandrino, provano a resistere a una seconda perturbazione, mentre Roma attende con paura il suo turno, ci si interroga se tutto questo poteva essere evitato, se poteva esserci un altro epilogo.

Con le tecnologie attuali, le conoscenze meteorologiche, la casistica sul territorio, c’è il modo di elaborare sistemi attendibili per il monitorare, prevedere e prevenire i disastri naturali? Un sistema, cioè che sia in grado di valutare gli scenari di rischio la loro possibile evoluzione prima che questi si manifestino?

La risposta è sì. Il modo c’è. La Protezione Civile ha questo sistema. O, almeno, dice di averlo.

Per poter capire di cosa si sta parlando bisogna fare un passo indietro. E tornare al settembre del 2007 quando la Regione Liguria, l’Università di Genova, la Provincia di Savona e il Dipartimento del- la Protezione Civile, guidato allora da Guido Bertolaso, inaugurano la Fondazione C.i.m.a. L’acronimo sta per Centro internazionale di monitoraggio ambientale. La Fondazione, viene spiegato, servirà a studiare «l’impatto del cambiamento climatico sul rischio idrogeologico e sugli incendi boschivi diventerà un punto di riferimento nazionale e internazionale per lo studio e la ricerca scientifica nel campo dell’ingegneria e delle scienze ambientali per la tutela della salute e della protezione civile».

Dopo il Centro di Pavia, dedicato al rischio sismico, questo è il secondo centro nazionale che si costituisce per capire e anticipare le varie catastrofi naturali. Due milioni e duecentocinquantamila euro è il patrimonio di partenza, stanziato in parte dalla Protezione Civile e in parte dalla Regione Liguria. Un finanziamento, negli anni, rinnovato e ampliato. Tra i compiti di «C.i.m.a.» anche quello di procedere a uno studio, in collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana, proprio sulla prevenzione dei rischi naturali. Da questa collaborazione, qualche mese dopo, viene portato alla luce il sistema «Dewetra».

Ma che cos’è «Dewetra»? La sua scheda tecnica nel sito della Protezione Civile lo descrive così: «Un sistema integrato per il monitoraggio in tempo reale dei rischi naturali…. L’applicativo fornisce, informazioni ad alta risoluzione e continuamente aggiornate, consentendo all’utente di monitorare eventi meteorologici, costruire dettagliati scenari di rischio e valutare il potenziale impatto dei fenomeni sulle comunità e sulle infrastrutture». Dunque con il sistema, come si evince dalla spiegazione, si potrebbe capire la gravità di eventi atmosferici potenzialmente devastanti per l’ambiente e, di riflesso, per l’uomo. Il sistema è talmente avanzato che la Protezione Civile lo presenta in pompa magna anche al resto del mondo, al quale naturalmente tenterà di venderlo.

Lo fa a Lisbona lo scorso maggio. All’ottava conferenza internazionale Iscram (Informa- tion Systems for Crisis Response and Management) la delegazione italiana, capeggiata dall’ingegnere Paola Pagliara, dirigente del servizio rischio idrogeologigo del Dipartimen- to Protezione Civile, presenta uno studio nel quale si dice, tra le tante altre cose, che il sistema fornisce un «dettagliato scenario di rischio» e «valutazioni di impatto di eventi attesi o osservati nelle comunità e nelle infrastrutture». Un portento. Capace, incrociando i dati, di individuare modelli di rischio anche per le inondazioni.

La piattaforma Dewetra, infatti, ha per così dire, un sottoprodotto dedicato proprio alle alluvioni. Si chiama Op.e.ra, anche questo un acronimo della frase inglese «Operational Eo-based Ranfall-run off fore- cast», ed è stato presentato lo scorso luglio. Tra le sue «quattro macro funzionalità», come si legge nel sito del Dipartimento adesso guidato da Franco Gabrielli, proprio «la previsione e il monitoraggio delle inondazioni», attraverso delle simulazioni.

Ma come funziona Op.e.ra.? Utilizza un sistema satellitare che si chiama Cosmo-SkyMed. Il programma è stato pensato e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e dal ministero della Difesa (con quattro satelliti in orbita). Rappresenta, si legge nel sito, «il più grande investi- mento italiano nel settore dell’Osservazione della Terra… con particolare riferimento alla prevenzione, al monitoraggio e alla gestione dei rischi». Un occhio, costato alla comunità oltre un miliardo di euro, al quale nulla sfugge. E che una volta integrato con i software in mano alla Protezione Civile dovrebbe essere in grado di prevenire eventi come quelli di Genova. Eppure nulla di tutto questo è avvenuto. Nessuno ha mai presentato analisi di rischio e simulazioni preci- se. Perché? Perché i sistemi in mano a Gabrielli non sono stati attivati? E se sono stati attivati perché non han- no funzionato? Forse perché i modelli proposti sono sbagliati? Forse perché si tratta di un sistema che non produce risultati così precisi da giustificarne le spese? E, intanto, oggi è attesa ancora pioggia. E per capire che il rischio di altre inondazioni è alto non servono i modelli della Protezione Civile. Basta accendere la tv.

L’Unità 06.11.11

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