Sindaco, Autorità civili, militari e religiose, Rappresentanze delle Forze armate, Cittadine e cittadini, alunni genitori e insegnanti delle scuole Pertini, mai come quest’anno la celebrazione del 4 novembre cade in una fase delicatissima per il nostro Paese e per l’Europa. Viviamo uno dei momenti più difficili della nostra storia repubblicana, per la concomitanza di una profonda crisi economica, sociale e politica – o meglio – della rappresentanza democratica e del potere esecutivo.
Ciascuno di noi è chiamato a riflettere sul fatto che nel centocinquantesimo anniversario della Patria, e segnatamente nel giorno in cui celebriamo la Festa dell’Unità nazionale e delle Forze armate, l’Italia corre il rischio di rimanere schiacciata nella morsa della recessione economica, dell’immobilismo sociale, dell’acuirsi delle disuguaglianze e della crisi di credibilità che ha investito la classe dirigente, a partire da quella politica.
Ma è nei momenti più difficili che si misura la statura complessivamente di un Paese e di coloro che sono chiamati a guidarlo.
Ora, più che mai, dovremmo ritrovare quell’orgoglio e quello slancio etico che consentì agli italiani di uscire dal periodo più buio del Novecento. In questo drammatico momento, dovremmo farci guidare da quello stesso desiderio di libertà e democrazia, da quei valori di eguaglianza e solidarietà, da quello sguardo tenacemente rivolto al futuro, nonostante la dittatura e la guerra, che permisero, allora, di scrollarsi di dosso il regime fascista e di rifondare il nostro Paese.
Non abbiamo certo la caratura di quelle generazioni. Se paragonati, sembreremmo nani di fronte a giganti, ma forse salendo sulle loro spalle e ricordandone la qualità, le gesta e i valori, il nostro sguardo potrebbe proiettarsi verso il futuro con l’ottimismo della volontà.
Dobbiamo ritrovare quella forza e quell’energia che appartiene alla tradizione e alla storia del popolo italiano e che ha avuto nella generosità, nel sacrificio e nello spirito di servizio che anima le nostre forze armate uno degli esempi migliori.
La festa di oggi è una opportunità per riflettere proprio su questa considerazione.
La ricorrenza del 4 novembre fu istituita per ricordare la fine della Prima Guerra mondiale e il sacrificio di chi perse la vita durante quel sanguinoso conflitto indossando una divisa al servizio del Paese.
Tra il 1915 e il 1918, l’inutile strage, come venne definita dall’allora Papa Benedetto XV la Grande Guerra, chiamò alle armi quasi 6 milioni di italiani: 600.000 non ritornarono più a casa e 450.000 restarono gravemente feriti. Il conflitto coinvolse anche il territorio carpigiano, provocando circa 600 vittime tra i militari impegnati in zone di guerra.
Nelle trincee, per la prima volta vennero a contatto soldati di ogni ceto sociale provenienti dalle diverse regioni d’Italia. Nella polvere e nel sangue delle trincee, sotto il fuoco nemico e i bombardamenti, nella palpabile paura che lo scontro generava tra i soldati, spesso mandati letteralmente al macello da ufficiali incapaci, si concretò il sogno a lungo vagheggiato dalle generazioni del risorgimento: ma l’irreversibile scelta di un’Italia una si cementò – purtroppo – con il sangue di seicentomila caduti.
Come ha scritto John Foot, “la guerra esercitò un forte potere unificatore per la nuova Italia, ma costituì anche un fattore di divisione”.
Potremmo forse dire che fu la prima di una serie di divisioni sulla memoria degli eventi “epocali” della nostra storia nazionale e sul loro uso politico.
Non è questa la sede per riprendere compiutamente un dibattito storiografico che pur attiene al carattere originario della nostra nazione e – aggiungo – del nostro ceto politico, ma è bene qui ricordare che la memoria della Grande Guerra fu scissa tra quanti – la sinistra socialista e anarchica e molti cattolici – volevano mantenere vivo il ricordo di chi quella guerra l’aveva sofferta, cioè le vittime, militari e civili, i reduci e le loro famiglie per conclamare l’orrore e l’insensatezza del conflitto e coloro i quali – i nazionalisti, molti dei quali divennero poi fascisti – volevano enfatizzare l’eroismo ed il patriottismo dei protagonisti della guerra, cioè i caduti, mentre la guerra veniva presentata come una sofferenza giusta e necessaria per la “grandezza dell’Italia”.
Si tratta di una divisione che ha trovato corrispondenza materiale nella cosiddetta “guerra dei monumenti”, tra il 1915 e il 1927. Una guerra – con un inevitabile strascico di violenze fisiche – che vide opporsi i monumenti realizzati per ricordare gli eroici “caduti” a quelli eretti invece per onorare le “vittime”, militari e civili. Nella fase liberale prefascista, molti municipi socialisti istituirono monumenti che ricordando l’orrore della guerra proclamavano parole di pace, ma ebbero vita breve perché furono presto distrutti dalla furia iconoclasta fascista.
Perché proprio sulle macerie della Grande Guerra e nella crisi economica che essa produsse, il fascismo costruì le sue fortune agitando la bandiera della vittoria mutilata. Anche questo deve essere un monito per il futuro.
Oggi noi non celebriamo la guerra, bensì celebriamo la fine della prima guerra mondiale, e insieme la giornata delle forze armate e la festa dell’unità nazionale.
Nell’età repubblicana, infatti, il 4 novembre ha raddoppiato il proprio valore simbolico: oltre ad essere festa nazionale dell’unità del popolo italiano nel sacrificio, ricollegando tale occasione alla memoria delle lotte risorgimentali, è anche Festa delle Forze armate, depositarie dei valori di concordia e di unità, che in questo giorno dal 1949 dichiarano la loro fedeltà alla Repubblica.
Il modo migliore per ricordare il 4 novembre e festeggiare le forze armate è quello di lanciare un forte messaggio di pace.
Sotto l’egida degli organismi e della comunità internazionali, le nostre forze armate sono impegnate in operazioni di peace keeping in diverse zone nevralgiche del mondo. Operazioni condotte con professionalità e senso di responsabilità pienamente coerenti con il vincolo sancito dalla nostra Carta Costituzionale che ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
In occasione della consegna delle decorazioni all’Ordine Militare d’Italia, l’impegno delle nostre forze armate è stato ieri al centro delle riflessioni espresse dal Presidente della Repubblica, che ha ribadito la necessità di una progressiva ma decisa integrazione interforze e multinazionale.
Ci associamo con orgoglio al ringraziamento e alla riconoscenza che il Presidente ha indirizzato ai nostri militari impegnati in quelle missioni, e alla commossa vicinanza espressa ai familiari dei militari che vi hanno purtroppo perso la vita, come è accaduto anche recentemente in Afganistan. Un Paese tormentato da un conflitto interminabile, un Paese nel quale la situazione è ancora difficile ma – lo ricordava il Presidente Napolitano – la nostra presenza contribuisce alla faticosa costruzione di “una via corrispondente alla autodeterminazione del popolo afgano”.
La festa dell’Unità d’Italia è soprattutto l’occasione per ribadire la volontà di una comunità ad essere tale; è l’adesione ai principi di democrazia e di solidarietà, cioè le basi fondamentali della nostra Costituzione, e la conferma di un impegno a trasfondere tali principi nelle nostre azioni quotidiane. Un impegno che dobbiamo assumere con convinzione, perché i vincoli che legano la nostra comunità nazionale sono sottoposti alle sollecitazioni di una società in rapido mutamento e di una crisi economica che rischia di travolgere tutto.
È dunque bene ribadirli, riaffermarli ed esplicitamente richiamarli questi principi, anche quando si parla di assetti istituzionali che devono essere meno centralistici e quando si rivendica maggiore autonomia per le istituzioni territoriali: ma si badi, tutto questo non può confondersi con un indebolimento della coesione e della identità nazionali.
Al rafforzamento della nostra unità nazionale molto hanno contribuito i Presidenti della Repubblica Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Di questo impegno dobbiamo essere loro grati, perché ha sottratto la nostra unità nazionale alla fragile e sterile retorica patriottarda e perché ci ha reso più forti nell’affrontare le sfide imposte dal contesto internazionale.
Innanzitutto la sfida dell’incontro e del dialogo con altre culture, con altre identità, con altre tradizioni.
Poi le prove a cui è esposta la nostra economia, il nostro progresso sociale e la tenuta della nostra coesione sociale, e con essi il futuro delle nuove generazioni.
Se vogliamo affrontare queste prove per vincerle – lo ricordava ieri il Presidente – dobbiamo muoverci nell’alveo della integrazione e della solidarietà europea.
Quanto sta accadendo in queste settimane è la prova che ci vuole più Europa, più integrazione europea, politica ed economica.
Da 60 anni, noi italiani, lavoriamo per questo obiettivo: ora dobbiamo essere artefici di un colpo di reni perché si giunga rapidamente – lo dico con le parole del Presidente Napolitano – a “più sovranità condivisa il cui esercizio sia affidato alle istituzioni europee governate nella collegialità”.
Per una Europa sociale, democratica e solidale, fondata sui valori della pace e dell’antifascismo. Una Europa che sia comunità culturale rispettosa delle identità nazionali e delle appartenenze locali e territoriali.
Ma i problemi che derivano da una situazione economica che potremmo definire inedita per la sua gravità e complessità sono davanti ai nostri occhi; in questa congiuntura potrebbero dominare le forze oscure che cavalcano paure e inquietudini. Vediamo infatti riemergere pregiudizi, razzismi e intolleranze, che la lezione impartita dalla storia del ‘900 europeo avrebbe dovuto cancellare definitivamente. Ma non sempre la storia procede in senso positivo. Anzi, è sempre possibile un rigurgito del passato, ed è per questo che la democrazia va vivificata e alimentata.
Ecco perché continuiamo a impegnarci per conoscere e ricordare la nostra storia recente, ecco perché dobbiamo continuare a batterci per una Europa capace di affrontare le nuove sfide del presente con strumenti e strategie che siano coerenti con la sua tradizione democratica e di solidarietà.
Il messaggio di oggi deve dunque essere un messaggio di pace e di augurio per un mondo migliore. Questo è il nostro impegno e l’impegno delle forze armate, questa è la ragione per cui continuiamo a celebrare il 4 novembre, per sentirci parte di una Nazione per la quale tanti italiani, chiamati a servire la Patria in armi, sacrificarono il bene supremo della vita e per rinnovare l’omaggio alle Forze Armate come struttura portante, insieme ad altre, dello Stato democratico.
Quello Stato nazionale unitario, nato 150 anni fa, che deve restare – sulla base dei principi e delle istituzioni di cui la Costituzione repubblicana ci ha offerto il compiuto disegno – punto di riferimento e di continuità per tutti i cittadini, al di là di ogni tensione politica e di ogni fase critica.
La crisi che stiamo attraversando è pericolosa e profonda, ma, come scriveva Albert Einstein “E’ nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. E’ nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perché senza crisi qualsiasi vento è una carezza”.
Oggi noi siamo chiamati a rinnovare queste parole.
Lo dobbiamo a tutti coloro che caddero per la Patria e a tutte quelle donne e quegli uomini che ogni giorno indossano una divisa per servire il Paese.
Lo dobbiamo agli italiani del passato, ma soprattutto agli italiani del futuro, che oggi sono rappresentati dagli alunni delle scuole Pertini.
Bambini che hanno una storia famigliare e tradizioni culturali diverse, che hanno un diverso colore di pelle, ma che condividono un futuro comune, che è nostro compito preparare nel modo migliore possibile.