Stretto nell’angolo in cui, non senza sue gravi colpe, si è trovato a decidere le misure da portare al G20, sotto la pressione dei mercati finanziari da un lato e dei partner europei dall’altro, anche questa volta il governo ha mancato l’obiettivo. L’unico risultato che sembra essere stato raggiunto è infatti un accordo al ribasso. A meno di sorprese – dal momento che si ragiona sul testo di un maxiemendamento alla legge di stabilità in discussione in Parlamento che non è ancora stato reso noto e che probabilmente ancora non esiste – la valutazione non può che essere questa.
Si è convenuto sulla riproposizione, ormai rituale, di alcuni titoli di settori di intervento – liberalizzazioni, privatizzazioni,dismissioni di patrimonio pubblico – senza che nell’articolazione di nessuno di essi sia stato fatto un passo avanti significativo, che renda possibile valutarne, non solo il merito, ma anche la maggiore credibilità rispetto agli elenchi contenuti nelle lettere di intenti che si sono sino ad ora succedute. Sono stati lasciati accuratamente fuori tutti gli argomenti oggetto di veti incrociati di questo o quel pezzo della maggioranza, quali, in primo luogo, le pensioni e la patrimoniale. La crescita dovrebbe essere in larga parte il risultato del solito insieme di microincentivi, quasi tutti nella forma di quelle agevolazioni fiscali che si dice di volere disboscare. La stessa liturgia che ha caratterizzato i vari decreti anticrisi che si sono succediti dal 2008, con gli esiti che sono sotto gli occhi di tutti.
Si tratta di scelte sbagliate nel metodo, prima ancora che nel merito. Provare a coniugare due obiettivi difficilmente conciliabili come la correzione dei conti pubblici e misure per la crescita avrebbe richiesto una proposta di ampio respiro, che ponesse al centro la coesione sociale, per favorirne la realizzazione. Ciò significa ampliare anziché restringere i campi di intervento. Chiedere uno sforzo a un insieme più articolato di categorie e di soggetti, e chiederlo contestualmente, in modo che per ciascuno di essi sia più difficile tirarsi indietro, piuttosto che avere paura di metterseli contro, ciascuno singolarmente o, come si è fatto nella manovra estiva, cercare accuratamente di scaricare ogni onere su parti dell’elettorato che si pensa facciano capo all’opposizione.Non accettare che ci siano temi tabù, come ad esempio la tassazione della prima casa. Significa, per fare un altro esempio, non essere strabici quando si fa riferimento alla Bce perché questa chiede di intervenire sul mercato del lavoro, con misure su cui personalmente non sono d’accordo, dimenticando che la stessa Bce chiede, nel contempo, di superare la frammentazione del nostro sistema di ammortizzatori sociali. Significa anche ricordare che la stessa Europa, nel summit del 26 ottobre, pur richiamandoci al rispetto degli impegni presi sui conti pubblici, sottolinea come misure importanti per il nostro paese il sostegno all’istruzione e all’occupazione, ai fini di favorire la crescita. Significa anche e soprattutto, per un governo che abbia il senso del proprio ruolo, assumersi la responsabilità di individuare con precisione i campi su cui intende investire le pur poche risorse a disposizione. Uno, particolarmente rilevante per la coesione sociale, potrebbe riguardare la promozione dell’offerta di servizi di cura, specialmente al sud. Si dedicherebbero risorse a soddisfare una domanda che esiste, si promuoverebbe un settore a grande intensità di manodopera, favorendo in special modo l’occupazione femminile, si darebbe un sostegno alle famiglie, su cui ricade un ruolo ormai insostenibile di ammortizzatore sociale, si promuoverebbe la coesione sociale, evitando di lasciare senza risposta chi non ha mezzi per arrangiarsi. Non basta invece lanciare proposte generiche, quali un ennesimo piano per il sud, che sembra essere dettato più dalla, giusta quanto tardiva, preoccupazione di sbloccare i miliardi dei fondi strutturali europei che scadrebbero a dicembre, che da una accurata analisi economica.
Niente di assimilabile ad una proposta di largo respiro è invece uscito dal Consiglio dei ministri del 2 novembre. Anzi, non è proprio uscito niente, salvo un comunicato stampa della Presidenza del Consiglio, disponibile sul sito, che ci informa che «eventuali testi in circolazione non corrispondono a quanto esaminato e approvato nel Consiglio dei ministri».
Un esecutivo immobile, per mancanza di responsabilità e incompetenza. Se si continua così la situazione non può che precipitare.
L’Unità 04.11.11