«La crisi noi non la paghiamo» è uno slogan molto popolare nelle proteste dell’ultimo anno ma, se ci si riferisce ai gruppi più deboli della società, giovani precari e famiglie a basso reddito, la cui condizione economica è aggravata dalla presenza nel nucleo familiare di anziani non autosufficienti, portatori di handicap o persone colpite da una malattia. Queste persone la crisi la pagano già. E anche molto cara. Soprattutto se si considera che disabilità e malattie sono fra le cause principali dell’impoverimento: assistere un familiare significa spesso, soprattutto per le donne, la rinuncia ad una attività remunerativa o il sacrificio della carriera. Ieri un gruppo di associazioni del terzo settore (Auser, Fish, Cittadinanza attiva, Cnca fra le altre) ha presentato dati inediti sui risparmi fatti sulla pelle dei più deboli, così come li ha calcolati lo stesso ministero del Tesoro. Nel 2007 gli stanziamenti per la spesa sociale sommavano 1594 milioni di euro, la previsione per il 2013 (sulla base della legge di stabilità 2011) è di 144 milioni di euro, con un taglio che supera il 90 % in cinque anni. Ma già nel 2011 il taglio è stato gigantesco, a fronte del miliardo e 600 milioni del 2007, quest’anno sono stati stanziati 399 milioni. Il sostegno alle famiglie è, a parole, la prima preoccupazione di questo governo ma il fondo dedicato, che comprende – ad esempio – i piani per gli asili nido – è sceso da 220 milioni nel 2007 a 31 nel 2013. Eppure, i soldi stanziati non sono stati buttati dalla finestra. Sono serviti (nel biennio 2006-2008) ad accogliere negli asili 260.000 bambini, ad assistere a domicilio, in residenze e centri diurni 400.000 anziani, alla formazione professionale e all’assistenza di 90.000 disabili. Però le campagne contro i falsi invalidi hanno fatto gioco al governo, perché, con la scusa dei falsi invalidi, si sono portati via i soldi agli invalidi veri. In un paese che destina al welfare la metà delle risorse della media europea. La conversione a U nelle politiche sociali, «è avvenuta – dice Pietro Barbieri di Fisch – senza alcun dibattito pubblico, eppure, a regime si tratta di 20 miliardi in meno che riguardano tre grandi capitoli di spesa: reversibilità, invalidità civili, agevolazioni fiscali». Eppure l’articolo 117 della Costituzione prevede «livelli essenziali di assistenza» ma in Italia non c’è la legge che dovrebbe definire e trasformare in diritti soggettivi «quei livelli essenziali». Al posto dei diritti c’è, secondo la legge delega affidata a Tremonti, la compassione per gli «autenticamente bisognosi». Una mentalità inaccettabile per Annalisa Mandolino (Cittadinanza attiva). E quei tagli si combinano con quelli agli enti locali (minori servizi e aumento delle tariffe, per esempio nei trasporti pubblici) e alla sanità. Giulio Marcon (“Sbilanciamoci”): «La Crisi non è solo finanziaria. Le diseguaglianze economiche ne sono una causa, gli impoverimenti deprimono la domanda». E fa l’esempio concreto dei cocopro che non hanno alcuna protezione sociale, nessuna indennità di disoccupazione. «Il governo – dice Marcon – non va a prendere i soldi dove sono, tassando rendite e patrimoni, riducendo le spese militari». Un esempio: «Un solo F35 costa quanto l’intero fondo per le politiche giovanili del 2009: 131 milioni di euro». Il programma della difesa prevede per gli aerei da combattimento investimenti per 15 miliardi.
L’Unità 04.11.11