Erano due invisibili, Antonio e Alfonso. Di loro non c’è traccia d’iscrizione alla Cassa Edile di Napoli, come dire: zero garanzie, zero contributi, zero tutto. Ufficialmente, non sono mai esistiti. Sono morti di lavoro nero, asfissiati dai veleni sepolti nelle campagne di Gomorra. Nelle campagne al confine tra Somma Vesuviana e Ottaviano, dove un tempo comandava “don” Raffaele Cutolo e oggi spadroneggia la camorra-impresa, che nel sottosuolo ha scaricato di tutto: dall’amianto delle fabbriche dismesse ai bidoni pieni di schifezze chimiche provenienti dal Nord. Ma loro, Antonio e Alfonso, tutte queste cose non potevano saperle. Loro erano carne da macello. Due invisibili. Carne da 40 euro al giorno, rischi compresi. «È agghiacciante – commenta sconsolato CiroNappo, segretario della Fillea Cgil di Napoli. – Qui da noi si continua a morire sul lavoro esattamente come cinquanta o cento anni fa». Accanto al pozzo artesiano che ha inghiottito i due invisibili, restituendoli cadaveri dopo un paio di ore di lavoro buone del nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco, c’è il cantiere della Statale 268. Un nastro d’asfalto nuovo di zecca che taglierà tutto il Vesuviano collegando l’estrema periferia orientale di Napoli con l’Agro sarnese nocerino, nel Salernitano. Dovrà funzionare come via di fuga in caso di eruzione del vulcano sterminatore. Per ora, è uno scheletro di acciaio e cemento che copre le vergogne di un ventennio di turpitudini nascoste e di sversamenti tossici abusivi. «Prima di iniziare i lavori, come Cgil imponemmo alla Prefettura la stipula di un protocollo d’intesa per la bonifica dei suoli. Chissà se le ditte che hanno vinto gli appalti l’hanno fatta veramente», è il dubbio che tormenta ora Nappo. Sembra un’altra storia, rispetto a quella dei due invisibili, in realtà non è così. Perché il pozzo artesiano in cui sono morti Antonio Annunziata, 64anni, e Alfonso Peluso, 54, entrambi di Ottaviano, e in cui ha rischiato di lasciarci le penne anche un terzo operaio, invisibile pure lui, Aniello Di Sarno, 30 anni, era profondo solamente sette metri. Non poteva uccidere. Non era la cisterna che, un anno fa, inghiottì 5 operai a Capua. Era poco più che un buco, utilizzato dai coltivatori della zona come invaso per la raccolta delle acque piovane. L’INCIDENTE Alfonso ci si è infilato per primo ieri mattina, cominciando a spicconare le pareti per allargarlo. Avrà guardato negli occhi l’inferno, perché ha cominciato quasi subito a sentirsi male. Era sceso senza alcuna protezione, ad un certo punto si è accorto di non essere più in grado di respirare. Con un filo di voce ha chiamato i compagni che stavano lavorando in superficie. Antonio Annunziata, che tra qualche mese avrebbe finalmente agganciato il traguardo della misera pensione sociale e nel frattempo si arrabbattava come poteva per mandare avanti la famiglia, si è calato subito, nel tentativo di soccorrerlo. Pochi, interminabili, minuti, e dal pozzo non è arrivato più alcun segno di vita. Ad allertare i vigili del fuoco è stato il terzo operaio. Non è stato facile tirare fuori i due cadaveri dal budello. Pur attrezzati, i sommozzatori hanno dovuto ampliare l’imboccatura dell’invaso per far passare le salme. Nel frattempo erano arrivati i carabinieri diSommaVesuviana. Hanno chiesto all’unico superstite notizie sulla ditta per la quale lavoravano, e sul proprietario del fondo agricolo.Hannoricevuto risposte vaghe, confuse. Dei proprietari del terreno, nessuna traccia. E in caserma, aSommaVesuviana, fino a ieri sera gli unici a presentarsi sono stati i parenti dei due operai uccisi dalle esalazioni. Il proprietario della ditta, che li aveva ingaggiati solo per il lavoro di ieri, è irreperibile. Ma le sorprese non erano finite: perché è bastata una veloce verifica che la Fillea Cgil ha fatto alla Cassa Edile per portare alla luce l’invisibilità di Antonio, Alfonso e Aniello. Nessuna iscrizione, non c’è traccia dell’apertura di una posizione previdenziale o assicurativa. Erano degli schiavi, reclutati per una, due giornate di lavoro.Comei tanti, troppi, invisibili mandati al macello nei cantieri di una regione in cui il numero delle morti bianche è in aumento esponenziale: 7 nella sola provincia di Napoli dall’inizio dell’anno. «Rispetto al numero di ore lavorate la percentuale degli incidenti è in aumento. Questa tragica vicenda dimostra che stanno cambiando le condizioni di lavoro», commenta il segretario generale della Cgil campana, Franco Tavella, che lancia una proposta: «Penalizzare le imprese che partecipano a gare di appalto e che si siano rese responsabili di gravi incidenti sul lavoro da mancato controllo. In questo caso il punteggio assegnato alle singole imprese, già in partenza, dovrà essere parametrato alla loro storia e al loro curriculum e agli incidenti sul lavoro».
L’Unità 03.11.11