Un vertice a cui si presenterà un Cavaliere azzoppato: la sua maggioranza sul punto di cedere.Berlusconi è con le spalle al muro. Chissà se il consiglio dei ministri c’è o non c’è: ma per dirsi cosa, poi? E figurarsi se può essere l’ufficio di presidenza del Pdl o un vertice con Bossi a far individuare una qualche via d’uscita. la presunta road map del governo non ha vie d’uscita, perché una vera road map non è mai esistita. Sono incartati. E adesso, molto semplicemente, non sanno – o meglio, non sa Berlusconi – che cosa fare.
Quello di presentarsi a mani vuote al G20 sarebbe l’ultimo dei suoi problemi, non è la faccia di bronzo che difetta al Cavaliere: ma la tempesta che travolge i titoli di stato italiano per colpa del governo ora cambia tutto.
L’effetto narcotico della lettera all’Ue del 26 ottobre è svanito e il governo è paralizzato: le tensioni con Tremonti, il caos nella maggioranza, la conclamata incompetenza dei vertici politici dei dicasteri più delicati hanno portato allo stallo: anche sul piano parlamentare tutto è ancora in altissimo mare e la nebbia è fitta.
Incalzato dal presidente Napolitano ad agire con urgenza ed efficacia, ieri lo stato confusionale del barcollante governo Berlusconi – da Tremonti che rema contro senza dirlo e passa il tempo con Bossi alla festa della zucca di Pecorara, la Halloween padana, forse pensando più al suo futuro nella Lega che allo spread; a Brunetta e Romani che pasticciano con Gianni Letta attorno a improbabili e temerarie riforme epocali; a un Pdl-Babele – ha raggiunto il suo culmine.
Di qui le ipotesi cervellotiche di inserire nella legge di stabilità (la ex Finanziaria) che va in aula al senato il 16 novembre blindata dalla fiducia una serie di emendamenti con la prima tranche delle fantomatiche misure anti-crisi (i cui testi non esistono) promessi nella lettera all’Ue il cui gioiello sarebbe il “pacchetto sviluppo”: il quale pacchetto, però, non esiste tanto che nel Pdl impazza lo scontro sul condono, sulle “zero” liberalizzazioni, piuttosto che sulle dismissioni con il contagocce: solo 1,6 miliardi all’anno a fronte di un patrimonio vendibile di 576. E sempre in questa legge di stabilità-monstre sarebbero definiti i tagli delle agevolazioni fiscali e assistenziali.
Un improbabile ordigno: o meglio un fumoso petardo contenente altri fumosi petardi, che è scoppiato, in serata, tra le mani di Berlusconi.
Il premier, ormai appeso a un filo, è frastornato dalla martellata di Napolitano e dall’incubo di un governo di emergenza nazionale che fa proseliti anche tra gli scontenti del Pdl. «Berlusconi si sacrifichi per ampliare la maggioranza», ha parlato in serata il senatore Antonione, interpretando l’umore di quel pezzo di Pdl tra Pisanu e Scajola. Annunciando: «Basta, non voto più la fiducia».
Tutto è in forse. Il calendario politico del Cavaliere perciò è più che mai virtuale. L’8 novembre torna al voto il rendiconto dello stato bocciato l’11 ottobre e nei due giorni successivi Berlusconi dovrebbe illustrare al parlamento il suo piano anti-crisi: ma quale? La lettera all’Ue – un imbroglio di titoli vuoti e velleitari e date apposte a casaccio – è stato svelato e la punizione per l’Italia è stata la più dolorosa: l’uragano che si sta abbattendo sullo spread, lo spettro che s’avanza di quella “quota 769” che segnò la fine della Prima repubblica sotto Tangentopoli e il terrore degli interessi sul debito al 7%, la soglia oltre la quale l’Italia entra in una situazione pre-Grecia.
Berlusconi, rientrato ieri a Roma, è apparso «molto agitato» a chi l’ha incontrato a sera. Da palazzo Grazioli sono filtrate rabbiose minacce di elezioni anticipate, perchè «Berlusconi si opporrà a ogni ribaltone tecnico e il Pdl lo seguirà».
Ma, come negli ultimi giorni di Salò, nel momento del crepuscolo è difficile distinguere i pretoriani dai congiurati e credere alle fedeltà incrollabili.
da Europa Quotidiano 02.11.11