Un duro attacco al governo che continua a raccontare favole, critica l’euro, vuole licenziamenti facili, e una bacchettata a chi confonde il riformismo con il liberismo che tanti guai ha prodotto negli ultimi trent’anni. Un monito a non fomentare la divisione sociale e una rassicurazione sul fatto che le primarie per la premiership si faranno. Pier Luigi Bersani chiude la due giorni di “Finalmente Sud!” lanciando messaggi all’esterno ma anche all’interno del suo partito. Come dice Rosy Bindi arrivando anche lei a Napoli, «dividersi ora sarebbe un
suicidio per tutti», e il leader del Pd assicura che per quanto lo riguarda non c’è nessuno scontro personale con Matteo Renzi e che in un momento delicato come questo tutte le energie vanno indirizzate verso l’obiettivo finale, che rimane mandare a casa questo governo per poi ricostruire sulle macerie del berlusconismo.
Certo, Bersani rimane convinto che alcune proposte rilanciate dalla Leopolda abbiano ben poco di nuovo e siano invece “un usato”, riproponendo «idee degli anni ‘80 che già ci hanno fatto finire nei guai». Il segretario si riferisce appunto alle idee liberiste «alla Thatcher, alla Reagan, alla Craxi» che tanto hanno pesato sui decenni successivi. Ma questa, dice, è una «discussione di merito» che non ha niente a che vedere con le interpretazioni che ha trovato sui quotidiani.
ELETTO CON LE PRIMARIE
«Oggi leggo sui giornali di uno scontro personale che non esiste, non mi appartiene perché non è nel mio stile e nella mia logica», dice ai cronisti arrivando alla Mostra d’Oltremare.
E le polemiche sulle primarie?, gli viene domandato. «Non c’è polemica con nessuno.Non si legano le mani a nessuno, non si faccia finta che c’è questa polemica. Io voglio bene a tutti». Anche a Renzi? Un sorriso: «Proprio a tutti». Quando ci sarà da sfidare il centro- destra, il candidato premier verrà scelto con le primarie, assicura Bersani rivendicando al suo partito il merito di averle “inventate” («non saremo mai avari su questo e non si descriva
un Pd o un Bersani arroccato») e ricordando non a caso di essere «l’unico segretario al mondo eletto in primarie aperte» (Renzi già contesta infatti l’idea di far scegliere “il” candidato del Pd dagli organismi dirigenti del partito anziché da nuove primarie aperte). E quindi: «Come potrei averne paura?. Ma appunto, arrivare alla
sfida col centrodestra presuppone accelerare la crisi di questo governo. Il che non si farà discutendo ora di questioni internemamettendo la maggioranza di fronte alle proprie contraddizioni e debolezze. Per questo Bersani liquida la questione rottamazione con poche battute, garantendo che saranno lui e la sua generazione a mettersi a disposizione per creare contenuti nuovi da mettere sulle gambe della nuova generazione che ci garantira
un ricambio con cambiamento.E dedica invece l’intervento con cui chiude l’inaugurazione della scuola di formazione politica riservata a duemila ragazzi under-35 delle regioni meridionali (che dopo questo appuntamento a Napoli andra avanti per un anno via web e con altri incontri simili a questo) puntando il dito sui rischi che il governo sta facendo correre
all’ Italia.
Bersani parla dal palco allestito alla Mostra d’Oltremare negli stessi minuti in cui il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi smentisce che si vogliano introdurre licenziamenti facili e parla del rischio di atti di terrorismo. Il leader del Pd invita il governo a spegnere la miccia che ha acceso e a mettersi a ragionare seriamente perchè non sarà con diversivi e alzate di ingegno che aggravano la situazione invece di risolverla che si fa fronte alla crisi, non è con le nuove favole che si può reagire e far uscire l’Italia dal pericolo, e non è con le letterine
che ci si allontana dal baratro, non è con i capri espiatori, che una volta sono i magistrati, una volta i comunisti e ora l’euro, che si risolvono i problemi. Serve un colpo di reni, adesso. Servono riforme vere e non drammatiche barzellette secondo le quali facilitare i licenziamenti porterebbe più occupazione. E allora al governo Bersani dice due cose. La pri-
ma: “Se non ci fosse l’euro l’Italia sarebbe in mezzo al Mediterraneo con della carta straccia in tasca. Non confondiamo la cura con la malattia”. La seconda: “Se accendiamo micce di divisione sociale anzichè di coesione, si rischiano conseguenze drammatiche”.
LA FIDUCIA PER ZITTIRE TUTTI
Il Pd, ora che in Parlamento si dovranno discutere le misure anti-crisi, pronto a fare la sua parte per far approvare le riforme necessarie al Paese. Ma se Berlusconi mettera la fiducia sul pacchetto di provvedimenti messi a punto dal governo, dice Bersani, sarà il chiaro segnale che non c’e nessuna volonta di confronto. Di piu, sara un’ennesima prova di debolezza del premier e di chi gli sta facendo da stampella: “Vogliono andare avanti militarizzando la maggioranza, che palesemente annaspa. Si zittisce l’opposizione e simandano avanti, decreto dopo decreto, contenuti che non convincono nessuno. Non posso senti- re Berlusconi nelle ultime 48 ore cantare ottimismo mentre ci stanno dan-
do soldi al 6% d’interesse”.
L’Unità 30.10.11
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Bersani: “Le idee anni ´80 ci portano guai”, di Conchita Sannino
Invito a Renzi: basta dualismi, io amico di tutti. Bindi: sbaglia chi si sente indispensabile. Noi vogliamo che i giovani riescano dove noi non siamo riusciti ad arrivare. Il ricambio deve avere metodi nuovi, oltre che facce nuove. La ruota gira dentro il collettivo. Prima lo sfogo. «E basta con ‘sto dualismo tra me e Renzi! Dove sono i contenuti? Dov´è il Mezzogiorno che abbiamo rimesso al centro?». Poi la nuova bordata in direzione Leopolda: «Le idee nuove vanno benissimo, ma stiamo attenti a non scambiare le idee nuove con l´usato degli anni Ottanta. Siamo già finiti nei guai, con certe idee». Scuote la testa, Pierluigi Bersani. «Stiamo attenti alle ricette troppo facili sul tema del lavoro».
Nel suo box dietro il palco della Mostra d´Oltremare, il leader Pd arriva già arrabbiato, dopo la lettura dei giornali sul botta e risposta tra sindaco e segretario, tra Napoli eFirenze. Lo aspetta la seconda giornata di lavori alla scuola democrat per 2mila giovani del Mezzogiorno, “Finalmente sud”, che dura un anno. E gli allievi under 30, venuti da tutto il Meridione, lo accolgono con ola, applausi e cori “Bersani-uno-di-noi”. Lui si lascia fotografare coi cellulari, poi molla i quotidiani su un tavolo e si chiude per mezz´ora, con i suoi. Malgrado la bella giornata e il «buonumore» che ispira la platea, è una domenica amara, intrisa di troppi echi provenienti dalla Stazione dei rottamatori. «Avevo detto che il ricambio deve avvenire con metodi e idee nuove, che la ruota gira dentro un collettivo. E il resto dov´è? La scelta di fare un anno di lavoro con i giovani, non dico uno spot, ma un anno di formazione su onestà, sobrietà e civismo. L´impegno a una visione riformista scritta dal sud, dove sta?».
Si sfoga, Bersani. Lo farà con ironia anche dal palco: «Questa giornata sa di semina, di gioventù e di bellezza. Eppure, a volte si preferisce parlare di scontri… Siamo a una scuola, allora ricordiamolo: dobbiamo essere autonomi dalla comunicazione. La politica è mestiere diverso, avanti con le proprie idee». E poi aggiunge. «Sono stato frainteso: se dico “bisogna mettersi a disposizione”, mi riferisco a noi, a me. Vogliamo che i giovani riescano dove noi non siamo riusciti ad arrivare». Però, non gli va che «tutto sia ricondotto» all´ultimo duello. Bersani lo ribadisce anche davanti alle telecamere, sempre senza pronunciare il nome “Renzi”: «Lo scontro personale non è nella mia logica. Non voglio essere tirato per la giacca». E taglia corto: «Non c´è nessuna polemica». Non adesso. Anche perché, come dirà la presidente Pd Rosy Bindi, che arriva dopo un´ora, «provocare altre divisioni, proprio adesso, sarebbe un suicidio, mi auguro che nessuno lo voglia». Anche lei è amareggiata. A chi le chiede se Renzi sia una minaccia, la Bindi sorride: «Parolone, “minaccia”… Il Pd ha bisogno di tutti, soprattutto di idee. Chi vuole confrontarsi sulle idee troverà aperto il Pd e l´assemblea nazionale, il luogo in cui il partito elabora il suo programma per le prossime elezioni. Dopodiché Renzi è una risorsa, ma nessuno si senta l´unica risorsa». Per salutare i 2mila, Bersani offre la staffetta a un giovane nato a Gomorra, «la mia chiusura sono le sue parole, vieni Peppe»: e lui è Peppe Pagano, presidente di una coop, impegnato con Libera nella gestione di beni confiscati ai casalesi. «Se non sono diventato un poco di buono è perché c´era la politica dell´esempio, sul territorio. Innamoratevi della politica, non del potere, ragazzi».
La Repubblica 31.10.11
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La tentazione di veltroniani e area Letta “La Leopolda può allargare il nostro campo”, di Annalisa Cuzzocrea
Nel fronte del no a Renzi, oltre ai bersaniani, i “giovani turchi” di Fassina. Lo scetticismo dell´ex ppi Fioroni: “Alla Leopolda nessun cattolico, è un handicap”. Non c´è niente di meglio che un Big Bang, per ridisegnare la geografia di un partito. Le nuove linee di frattura del Pd si erano già delineate dopo l´estate, non è “merito” di Renzi, giurano i suoi rivali, ma la musica suonata alla Leopolda non ha certo aiutato. Le wiki-idee dei nuovi rottamatori, per intenderci sì alla Bce no alla Cgil, sì a Marchionne no alla Fiom, sì a Steve Jobs no a Nichi Vendola, superano i confini di chi si è proclamato renziano. Volano oltre l´ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino, l´economista Pietro Ichino, il prodiano Sandro Gozi. Sorpassano l´endorsement arrivato dall´uomo ombra del “professore” Arturo Parisi. E arrivano nel cuore della segreteria del Pd, nella compagine che fa capo al vice di Bersani Enrico Letta. Toccano i modem di Veltroni. Interloquiscono con Areadem di Franceschini.
Contro, ma proprio contro, ci sono i “giovani turchi”: il dalemiano Matteo Orfini, il responsabile Economia e Lavoro Stefano Fassina: tutti convinti – come Bersani – che le ricette di Renzi siano “anni ottanta”, che chi la pensa come lui pretende di uscire dalla crisi economica in continuità con le idee che l´hanno prodotta. Insomma, che altro che rottamatore, Renzi è solo l´ultimo anello di un establishment che non vuole cambiare questo Paese con un po´ di sana sinistra. Contro è Massimo D´Alema, che non ha mai avuto “il ragazzo” in simpatia, che ne è da sempre il bersaglio, e che resta leale al fianco di Bersani, nonostante le sue idee sul dopo Berlusconi siano più vicine a quelle di Veltroni e Franceschini. Contro è anche Rosy Bindi, ma la presidente – rivela chi la conosce – gioca una partita tutta sua: «Rosy pensa che se Bersani scivola, rimane lei come garanzia per la sinistra del partito». E´ neutro Romano Prodi: il Professore tiene a far sapere di non appoggiare nessuno. E sta alla finestra anche l´ex popolare Beppe Fioroni: viene anche lui dagli scout, ma a qualcuno fa notare che alla Leopolda non c´era nessun rappresentante delle associazioni cattoliche: «Lì c´è un frattura che va sanata».
È però tra le minoranze, che il big bang colpisce più duro. Areadem sostiene Bersani, Franceschini lo ripete ogni volta che può, ma è un fatto che la compagine del capogruppo si sia riavvicinata a quella di Walter Veltroni. E che come loro la pensi anche il vicesegretario Enrico Letta: all´Italia non serve la foto di Vasto, serve un progetto più largo, che comprenda il Terzo Polo. «In nome di questo – racconta un esponente di Areadem – siamo pronti a discutere con tutti». Anche con Renzi. Veltroni – che era stato indicato come probabile king maker del sindaco fiorentino – per ora tace. L´ex leader, ad Auschwitz con una delegazione bipartisan di parlamentari, non entra nelle beghe del partito, ma di certo se dovesse scegliere tra Renzi e Bersani, non avrebbe dubbi su chi appoggiare. Quanto a Letta, alcuni dei suoi – proprio nel giorno della Leopolda – hanno scritto una lettera al segretario ribadendo fedeltà, ma invitandolo a un confronto «anche aspro». Il nodo è sempre lo stesso: non appiattirsi sulle posizioni della Cgil, saper affrontare i nodi posti dalla lettera della Bce. Lo dice chiaramente, anche se da un´altra posizione, il modem Gentiloni: «Bisogna allargare il campo e non rinchiudersi nel recinto della sinistra tradizionale».
«Gli equilibri sono delicati – dice un dirigente – e qualsiasi forzatura può far saltare tutto. Se Renzi avesse annunciato la sua candidatura, o se Bersani decidesse di indire primarie il 15 gennaio, il Pd esploderebbe». E poi, spiega, tra Renzi e Montezemolo c´è più di un flirt: «Se non allarghiamo il campo, e quei due vanno insieme, sono dolori sia per il Pdl che per il Pd».
La Repubblica 31.10.11