Due notizie ampiamente riportate ieri sulla prima pagina del Sole 24 Ore hanno collegato il loro contenuto con quelli della conferenza organizzata a Milano dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e dalla Fondazione Cariplo, sulle disuguaglianze economiche e sociali, con la straordinaria partecipazione, a livello internazionale, di personalità del mondo istituzionale e accademico.
La prima notizia riguarda l’incredibile, preoccupante aumento di circa il 50% dei compensi dei top manager inglesi; la seconda concerne l’altrettanto preoccupante situazione delle banche tedesche e francesi, ricolme di titoli tossici e di bond greci, la cui situazione è giudicata a livello europeo meno allarmante rispetto a quella delle ben più sane banche italiane.
La prima considerazione che deve essere fatta e dalla quale non si può assolutamente prescindere, qualunque sia la valutazione dell’attuale crisi, è che purtroppo la situazione sia in Europa, sia negli Stati Uniti, e nel resto del mondo, continua senza nulla cambiare, ad esasperare l’ineguaglianza globale in termini sia oggettivi sia soggettivi, con il disperato aumento della povertà, alla quale globalmente corrisponde una spaventosa concentrazione di ricchezza e di reddito.
Se è indubbio che la forbice fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri sta divaricandosi, il problema non può certo essere considerato solo in termini di prodotto interno lordo, bensì deve allargarsi sino a comprendere le conseguenze che la povertà produce sulla vita individuale delle persone, sulla loro partecipazione e capacità di godere dei beni primari della vita (John Rawls, Amartya Sen, Ronald Dworkin).
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Questi hanno riferimento costante a problemi di giustizia sociale, di libertà, di posto di lavoro, di conservazione della salute e di accesso all’istruzione. Mi piace a questo punto ricordare che di fronte al fallimento anche di precedenti sistemi economici come era quello dell’ordine liberale e della libertà degli scambi nel ‘700, il grande illuminista Nicolas de Condorcet aveva individuato l’origine della crisi nella trasformazione del denaro in potere politico, e del potere politico in influenza sui mercati. Già allora Condorcet poneva come prioritario l’accesso di tutti i cittadini all’istruzione.
Ebbene, nell’indagine sulle cause attuali delle disuguaglianze dovute alle divergenze tra Paesi ricchi e poveri e, all’interno di essi, alla ancor più intollerabilità della forbice, la colpa sottolineata con vigore dal libro di Jacob Hacker e Paul Pierson, Winner – Take – All Politics, è della politica dei governi americani a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, e non delle cosiddette forze del mercato, quasi a voler inconsciamente dimostrare la validità della formula di Condorcet “denaro – politica – mercati”. La riduzione delle tasse sui ricchi, le politiche del lavoro a svantaggio dei sindacati, la corporate governance delle società che ha favorito i compensi stratosferici a banchieri e manager, e infine la deregolamentazione finanziaria, sono le politiche legislative che hanno creato un aumento indiscriminato di ricchezza nell’1% della popolazione, provocando sofferenze, povertà e disoccupazione sempre crescenti.
È dalle ineguaglianze, come è stato provato sia da Hacker, sia da Lars Osberg, presenti al Convegno, che si creano e si alimentano le crisi di depressione economica, si accumula il debito pubblico e nessuna soluzione pare possibile se i vari governi si dimostrano inadatti sia a livello globale sia a livello nazionale.
Certamente prioritario è interrompere la completa mancanza di disciplina dei mercati finanziari e a evitare che i compensi, i bonus e le stock option di banchieri e manager continuino, nonostante tutto, a salire e a provocare l’aumento della forbice, agevolato dalla speculazione.
Quali rimedi? Certamente quello proposto da Branko Milanovic, di intervenire per aumentare il reddito dei Paesi poveri per poi riuscire a stabilire una vera politica globale contro le disuguaglianze, che garantisca soprattutto uguali possibilità ai cittadini dei vari Paesi, anche perché la cittadinanza ai fini delle ineguaglianze conta molto (e ciò spiega i fenomeni dell’immigrazione).
Nonché quelli individuati da Bruce Ackerman e Julian Le Grand di garantire una maggiore equità di punti di partenza della vita attraverso l’assegnazione di fondi a ciascun individuo, al compimento della maggiore età.
Se poi una nuova disciplina della finanza a livello globale rimane il primo dei problemi, esso può essere risolto solo con un generale accordo politico cioè, come altra volta ho già qui sostenuto, con una nuova Bretton Woods; soluzione questa che pare auspicata anche dal Vaticano, che propone un’Autorità mondiale finanziaria in un quadro giuridico preciso. Il problema a noi più vicino rimane quello europeo; l’Europa è in ritardo su un’integrazione federale, e l’istituzione politica ha ceduto il suo scettro alla Banca centrale europea.
È così questa, con la tipica cecità monetaristica e bancocentrica, a dettare le ricette economiche di austerità ai vari Stati membri, insensibile com’è ai gravissimi problemi delle disuguaglianze, ma anche inspiegabilmente schiava del duopolio franco – tedesco. A loro volta le banche francesi e tedesche, ricolme di titoli tossici e del debito pubblico greco dettano la politica della Banca centrale, facendole immettere liquidità sui mercati, per evitare il loro fallimento – nel quale essa stessa verrebbe trascinata – e la inducono ad ammonire le ben più sane banche italiane.
Il Sole 24 Ore 30.10.11