Mi sembra evidente che il governo è dimissionato dai fatti – dice il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani – dalla sua incapacità di dare risposte vere al problemadella crisi e di impostare una strategia per rilanciare il Paese. Come la lettera all’Ue ne è prova la battuta sbagliata di Berlusconi sull’euro».
Guardando all’impianto della lettera all’Ue, qual è secondo lei l’obiettivo del governo?
«Dividere il Paese. Avendo di fronte la possibilità di un ampio raggio di interventi, il governo ha scelto il terreno ideologico: licenziamenti più semplici. È la strada opposta rispetto all’ accordo tra le parti sociali del 28 giugnoe a ciò che servirebbe, cioè un sussulto di unità per il bene del Paese».
Secondo lei, quale sarebbe il motivo di questa scelta?
«Il fatto che questo governo è prigioniero di se stesso. Ha continuato a dire che andava tutto bene e non si è mai occupato dei problemi dell’occupazione, delle politiche industriali,
della questione dell’equità. Il governo è andato avanti per tre anni così e ora non ha nessuna possibilità di voltare pagina».
La lettera è un manifesto elettorale per andare a votare dopo Natale, come dice Casini?
«Il giudizio di Casini è netto ma oggettivo. Il governo non riesce a portare alcun provvedimento in Parlamento, non riesce ad avere una maggioranza che sia tale».
Ma in caso di crisi cosa preferirebbe?Un governo di transizione o le urne anticipate?
«Il tempo a disposizione è pochissimo e allora il punto è capire se ci siano le condizioni politiche per un governo di responsabilità, che prenda la strada di un cambiamento vero e faccia scelte nette di equità. Si verifichi se ci sono le condizioni. Diversamente, la via maestra è quella delle elezioni anticipate».
Il Pd e le altre forze di opposizione cosa devono fare per non arrivare alla sfida impreparate?
«Dobbiamo presentarci al Paese dicendo che c’è bisogno di ricostruire e che per farlo occorre avere la forza e il coraggio di un vero cambiamento. Il punto è questo: cambiare il Paese. Perché non siamo di fronte semplicemente a una crisi finanziaria, ma alla necessità di liberare la forza reale che pure c’è nella nostra società».
Quali sono i primi passi da compiere in questa direzione?
«Mettere in discussione le rendite di posizione, che ci sono. Poi costruire l’alternativa alla destra, alle idee vecchie e superate della cultura neoliberista. E quindi lavorare per una nuova e vera equità fiscale, introdurre una patrimoniale, avviare una seria lotta all’evasione fiscale attraverso la tracciabilità, riportare giustizia e dire con chiarezza che adesso devono pagare quelli che non hanno pagato. E ancora, pensare un nuovo modello di sviluppo, redistribuire le risorse e realizzare una nuova politica industriale, puntare sulla formazione. A questo punto è necessario cambiare i paradigmi di questo Paese, porre il problema del contrasto alla precarietà, realizzare un nuovo welfare e un nuovo patto sociale che metta al centro il futuro delle nuove generazioni. Questo è il cambiamento che dobbiamo perseguire, puntando a un nuovo modello sociale, che vada ben oltre i confini ideologici del 900».
Con chi dovrà lavorare il Pd per attuare un simile programma?
«Bersani ha detto una cosa chiara, che condivido: Pd, Idv, Sel debbono dare garanzie agli italiani che l’esperienza passata non si ripeterà più, e poi devono avere la capacità e il coraggio, senza schemi predefiniti, di discutere nel merito con i moderati come ricostruire l’Italia. Si tratta di un progetto, non un’indecisione, non ci dobbiamo chiudere nei confini classici. Ora leggo dichiarazioni di Vendola, Di Pietro, Casini, e mi pare che stia maturando un percorso che va nella giusta direzione».
Le sembra che il nodo primarie sia risolto?
«Bersani ha presentato un progetto e ha detto “io ci sono”, chiarendo che non si nasconderà dietro a questioni burocratiche. Si faranno quando è il momento, sapendo che le primarie aperte servono per decidere il leader d iun progetto che abbia le competenze e le capacità per cambiare il Paese. Per me Bersani è il candidato migliore».
Che ne pensa delle iniziative di Renzi e degli altri giovani del Pd che chiedono il rinnovamento?
«È indiscutibile che ci debba essere rinnovamento, a partire da esperienze vere,ma dentro un progetto. Ci sono progetti alternativi? Io non ne vedo. Allora andiamo avanti su questa
strada uniti perché ce lo chiede il Paese. E in questo sforzo comune è un contributo utile tutto ciò che si muove con l’idea di una comunità che cerca di realizzare un taglio netto rispetto al populismo, imposto dalla destra ma che ha attraversato tutto il Paese, e alla personalizzazione della politica che vuole sostituire il progetto. Viceversa, se il dibattito interno precipitasse nella ricerca di autoaffermazione, allora saremmo ancora nello schema
che la destra populista ha imposto al Paese. Noi dobbiamo uscire dal berlusconismo, non semplicemente mandare a casa Berlusconi. Dobbiamo impostare un discorso pubblico
coinvolgendo le forze migliori in un patto sociale intergenerazionale. Ci sono tantissime energie che chiedono al Pd non di fare i conti al suo interno ma di dare spazio. Quando parliamo di apertura dobbiamo innanzitutto essere aperti alla novità delle donne. E quando parliamo di alleanze dobbiamo saper allearci anche con il protagonismo che viene avanti nelle esperienze sociali, nel volontariato, nell’associazionismo».
Le Regioni, che dalla prossima legislatura taglieranno i vitalizi dei consiglieri, sono vittime del vento dell’antipolitica?
«Tutt’altro. L’Emilia Romagna ha aperto una strada. E la decisione presa dalla Conferenza delle Regioni è importante e utile. Dobbiamo andare avanti su questa strada per contrastare quel senso comune, in base al quale la politica e le istituzioni sono dei pesi. Bisogna prima di
tutto restituire dignità alla politica attraverso scelte che diano chiari segnali. Il Pd in questo deve essere protagonista in Parlamento e in tutto il Paese. Deve essere determinante
per dimostrare che la politica, la buona politica, quella fatta di idee e progetti capace di rispondere alle famiglie e alle imprese, è lo strumento fondamentale per migliorare la qualità alla nostra democrazia».
L’Unità 29.10.11