L’istruzione pubblica sotto la lente d’ingrandimento di una docente. Nel libro di Graziella Priulla, di cui pubblichiamo le conclusioni, è contenuta una grande mole di dati che segnalano il declino di una istituzione.
Che cosa vogliamo lasciare all’Italia che verrà? Che cosa il mondo adulto organizzato vuole che sappiano le nuove generazioni, in Lombardia come in Sicilia? E a monte: la cultura riguarda la nostra vita? ha a che fare con il modo di passare le giornate, con la capacità di convivere civilmente? Come convincere i ragazzi che serve? Come gettare un ponte percorribile tra le loro menti e ciò che di meglio l’umanità ha prodotto, senza ingessarsi su modelli di cent’anni fa? Quali saperi restano, quali si sostituiscono?Come conciliare elementi di lungo periodo con elementi la cui utilità è legata a fattori transitori?
NESSUN CONFRONTO SERIO Da anni non conosciamo un dibattito serio su quale debba essere la formazione più idonea per giovani che appartengono interamente al XXI secolo. In un contesto di definanziamento selvaggio, di classi superpopolate, di demotivazione e disaffezione dei docenti e degli allievi; in una società afflitta da crescenti dualismi sociali, da divaricazioni crescenti tra Sud e Nord, ricchi e poveri, garantiti e non garantiti, giovani e vecchi; nell’esasperazione di una conflittualità politica a tutt’altro rivolta; con un’opposizione parlamentare smarrita e confusa oltre il lecito; in un clima di generale incertezza e insicurezza… di fronte al tenore delle sfide che incombono, alle naturali difficoltà della scuola a riorganizzare la propria azione, alle comprensibil”i preoccupazioni delle famiglie (…) sarebbe necessaria una progettualità di alto livello e di larghi orizzonti (…) Il governo sceglie invece la strada di un messaggio implicito semplificante e rassicurante: se la scuola è in difficoltà non dipende dalle ardue sfide cui deve far fronte, è solo perché le innovazioni scolastiche erano sbagliate; tolte queste innovazioni, restaurata la tradizione scolastica, i problemi si risolveranno. (dal libro M. Baldacci, Frabboni La Controriforma della scuola FrancoAngeli)
RITESSERE I FILI Per ritessere un filo tra scuola e mondo ci sarebbe bisogno di una voglia di rimettersi in gioco, di un recupero d’orgoglio difficile da imprimere a questa grande organizzazione che pare giunta esausta al capolinea, logorata da un martellare di messaggi contraddittori. Come possiamo accingerci a un’operazione ciclopica di cambiamento, quando ci rendiamo conto che tutto ciò che ci sta intorno spinge in direzione contraria e a nessuno importa niente degli sforzi che facciamo? Se ci si interroga con tanta insistenza sulla natura dell’identità è perché si ha la sensazione di avere a che fare con qualcosa di sfuggente o di perduto. Lo dico con smarrimento, poiché ho insegnato tutta la vita. La posta in gioco è però troppo importante per rassegnarsi; non ci possiamo permettere il lusso di aspettare che la società italiana riconosca se stessa allo specchio, smettendo di galleggiare sugli ammortizzatori e di ignorare la distruzione o l’emarginazione di una parte determinante del proprio capitale umano. È un’urgenza che interpella tutti, e potrebbe trovare praticabilità in un’energia collettiva in grado di vincere declino, inerzia, disordine, demagogia. È evidente che dalla crisi si potrà cominciare ad uscire solo quando si darà respiro e speranza alla crescita intellettuale e civile delle giovani generazioni, oggi senza prospettiva. Bisogna farsi carico – con uno sguardo un po’ più lungo di una campagna elettorale – dei luoghi e dei modi in cui si genera il senso: senza di che insegnare e imparare sono parole vuote, stanche routine, note senza musica. Servono visioni strategiche, scelte che possano dare risultati tangibili fra anni, non fra mesi o giorni. La distruzione del sistema pubblico d’istruzione e il soffocamento della ricerca scientifica non sono fenomeni passeggeri e non sono rimediabili nell’arco di una generazione. Altro che norme nascoste nelle pieghe di leggi finanziarie o di decreti milleproroghe, o provvedimenti muscolari che creano l’illusione di facili riconquiste di credibilità ed autorevolezza!
PRIORITÀ NAZIONALE Siamo ad un punto in cui solo una radicale inversione di tendenza, che ponesse la scuola come grande priorità nazionale in termini sociali, politici ed economici, potrebbe rivitalizzarla. Sapendo che essa nonha più il monopolio della riproduzione culturale. Assumendo l’onere laico e realistico di definire quale sia la sua specificità, insieme al fatto che l’educazione non può essere questione esclusiva degli addetti ai lavori. Difendendo a tutti i costi la scuola pubblica perché è rimasta il solo luogo comunitario diffuso, quotidiano, aperto, solidale dove diverse età condividono tempo, spazi, parole, fatiche, speranze, sogni, successi e delusioni. L’ultimo che si ostina a non produrre consenso. L’ultimo dove i bambini e i ragazzi non sono visti come consumatori e non sono divisi per potere d’acquisto. L’unico laboratorio di integrazione delle diversità. L’unica istituzione che toglie ai vecchi per dare ai giovani. Com’è possibile che manchi il denaro per garantire queste conquiste? Scrive nel suo Maestri d’Italia. Rapporto sulla scuola ItaliaFutura (associazione confindustriale, non covo di sovversivi): “l’Italia e la sua scuola si interpretano a vicenda: nella crisi del sistema educativo si può leggere un disorientamento collettivo più generale”. Non si possono trovare risposte a tutte le domande; non ci sono tesi da dimostrare, bandiere da impugnare; ma è triste che di temi così importanti per l’avvenire del Paese discuta solo un’élite sofisticata e smaliziata, che spesso si parla addosso avvitandosi in ingegnerie riformistiche, astrazioni pedagogiche, perorazioni programmatiche, e sempre si divide per appartenenze accademiche o politiche.
SPAZIO ALLA SPERANZA È ancora possibile che il corpo sano della società riscopra un’energia corale che ci consenta di liberarci dalla rassegnazione e dall’indifferenza, di ridare spazio all’impegno e alla speranza?
* Università di Catania
da L’Unità