Il tentativo del governo, e del ministro Sacconi in particolare, era chiaro. Concedere alle imprese un grosso vantaggio, la sostanziale libertà di licenziare, per rompere il fronte con i sindacati. Il piano però non ha sortito l’effetto sperato. E per lui l’annunciata convocazione di «un tavolo di confronto con le parti sociali» per «approfondire il merito senza pregiudizi», rischia di essere una mission impossible. Sia con Confindustria che con Cisl e Uil. L’associazione degli industriali non vuol sentir parlare di «licenziamento facile». Da parte di Cisl e Uil invece è arrivata immediata un’alzata di scudi assolutamente non scontata. Sentire i loro segretari generali parlare all’unisono di «provocazione » edi ricorso «allo sciopero generale », di «colpiremo uniti» (Bonanni), «di nessun problema a scioperare con la Cgil» (Angeletti), fa un certo effetto. In queste ore Camusso, Bonanni e Angeletti sono stati in stretto contatto e hanno concordato una posizione comune. Bisogna però chiarire che la convocazione di uno sciopero generale unitario Cgil-Cisl-Uil non è all’ordine del giorno. Sebbene la Cgil spinga in questa direzione: «Accogliamo con grande favore le dichiarazioni di Bonanni e Angeletti – commenta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil -. Naturalmente bisogna dare conseguenza alle reazioni ». «Lo faremo – spiega Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl – se il governo modificherà la legge attuale, la 223 del 1991, quella che prevede, in caso di crisi, che azienda e sindacati di comune accordo chiedano gli ammortizzatori sociali, prima la Cig e poi la mobilità. Funziona benissimo e non c’è ragione per cambiarla». Dalla Uil si fa sapere che «ci muoveremo solo se il governo si intestardirà su questa norma senza ascoltare le nostre posizioni, se andrà avanti da solo», spiega Angeletti. Su una cosa Confindustria e (tutti i) sindacati sono d’accordo. Nelle 16 pagine firmate Berlusconi mancano molte delle cose richieste nei documenti co-firmati con Rete imprese e Cgil-Cisl-Uil-Ugl prima a giugno e poi ad agosto. «Equità e sviluppo », per dirla con Santini, segretario confederale della Cisl. Come sottolinea per prima Confindustria, nella ormai celeberrima lettera manca il taglio dell’Irap sul lavoro, manca la patrimoniale e l’intervento sulle pensioni di anzianità. Un efficientamento sulla previdenza era stato concordato fra le parti sociali all’interno della strategia che chiedeva al governo di introdurre una tassazione sui grandi patrimoni e il taglio del cuneo fiscale per imprese e lavoratori.
LA VALUTAZIONE DI MARCEGAGLIA Diversa invece, ma più articolata del previsto, la valutazione di Confindustria sulle norme sui «licenziamenti per motivi economici».Sostenere che gli industriali siano completamente d’accordo è quantomeno improprio. E a testimoniarlo ci sono le parole di Emma Marcegaglia che, da NewYork, parla genericamente di necessità di «eliminare tutte le rigidità e introdurre più flessibilita » e, parlando dell’insieme della lettera, di apprezzamento per gli «impegni chiari» definita da Marcegaglia «una road map per le riforme ».Su unpunto invece Cgil e Confindustria hanno opinioni contrastanti. «Scrivere che entro maggio si metterà mano alla legislazione sui licenziamenti per ragioni economiche nella situazione di crisi drammatica che vive il nostro paese è una vera istigazione a delinquere. Ci sono migliaia e migliaia di aziende che stanno finendo i due anni di cassa integrazione e dovrebbero chiedere la deroga. Il messaggio che passa – attacca Fammoni – è che si possa espellere i lavoratori invece che trattenerli». Da Confindustria controbattono: «Pensare che un imprenditore si trovi davanti all’alternativa fra Cig e licenziamento, e scelga la seconda è un sillogismo inaccettabile, una semplificazione che non rispecchia il testo della lettera ».
L’Unità 28.10.11
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“Una spallata all´articolo 18 Sacconi rilancia il suo piano risarcimento e non reintegro”, di Roberto Mania
Riscrivere l´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. C´è questo dietro la formula gelida sui licenziamenti contenuta nella Dichiarazione del vertice europeo di martedì notte, ma anche dietro il burocratese involuto della Lettera d´intenti del governo di Roma. Di nuovo l´articolo 18.
Solo per confondere le acque e rendere meno pesante l´impatto sull´opinione pubblica, si è parlato e scritto di nuove regole per i licenziamenti «per motivi economici». Ma non è questo ciò che vuole Bruxelles e che hanno chiesto i due banchieri Jean-Claude Trichet e Mario Draghi nella lettera inviata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 5 agosto scorso. I governi e le istituzioni europei hanno imposto al nostro Esecutivo di eliminare dalla legislazione la possibilità (prevista appunto dal quell´articolo dello Statuto del 1970) di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato. Al posto del rientro al lavoro, stabilito dal giudice, arriverà un risarcimento economico, come avviene un po´ in tutta Europa e come già è previsto per i lavoratori delle piccole imprese italiane. L´articolo 18 è “l´anomalia” che vale solo per le imprese con più di 15 dipendenti. E proprio questa norma agirebbe da vincolo – secondo una scuola di pensiero – alla crescita dimensionale delle nostre imprese: meglio piccoli che costretti a riassumere chi non ci piace. Anche se poi – stando ai dati di un´indagine della Cisl – solo il 7 per cento di chi ha ottenuto dal giudice il diritto ad essere reintegrato torna effettivamente nell´azienda. Nel 93 per cento dei casi si raggiunge un accordo monetario tra le parti.
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, conosce benissimo il canovaccio deciso dall´Europa, convinta, come peraltro lo stesso Fondo monetario internazionale, che il recente accordo tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil abbia fortemente annacquato l´articolo 8 della manovra economica. Il quale attraverso il meccanismo delle “deroghe” ai contratti nazionali puntava proprio ad aggirare non solo l´articolo 18 ma, potenzialmente, tutto lo Statuto dei lavoratori.
Un disegno di legge sui licenziamenti dovrebbe essere pronto entro la fine di quest´anno per poter immaginare – sempre che il governo non cada prima – che la riforma entri in vigore a maggio del 2012. La riforma dell´articolo 18 era già finita in un binario morto in Parlamento nel 2002 dopo lo scontro durissimo tra il governo (anche allora guidato da Berlusconi e con Sacconi sottosegretario al Lavoro) e la Cgil di Sergio Cofferati. Ora, con il vincolo esterno europeo, si riapre la partita. La Confindustria è d´accordo. Tutti i sindacati hanno detto per ora di no.
Sacconi ha chiesto ai suoi tecnici di esaminare sulla base dell´esperienza tutto ciò che può «fluidificare» i licenziamenti economici collettivi. Attualmente la legge che disciplina i licenziamenti collettivi per motivi economici è la 223 del 1991. Legge che nessuno ha chiesto di modificare: né le imprese, né i sindacati. Il perno della legge è l´accordo tra le parti che permette l´accesso ai vari ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione alla mobilità più o meno lunga. Diversamente da altre normative europee, la legge italiana scarica tutto il costo sulle casse dell´Inps (cig e mobilità) mentre l´azienda che di fatto licenzia non paga direttamente nulla al lavoratore. Si vedrà se il governo deciderà di cambiare qualcosa su questo punto.
A cambiare potrebbe essere l´attuale meccanismo di finanziamento della cassa integrazione al quale non partecipano le imprese non industriali con meno di 50 dipendenti. L´Europa ha chiesto un nuovo sussidio di disoccupazione, uguale per tutti i lavoratori al di là delle dimensioni della propria impresa e del contratto di lavoro. Sacconi non esclude di far partecipare al finanziamento della nuova cig le imprese che ora non lo fanno, applicando meccanismi di tipo assicurativo.
La repubblica 28.10.11
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“I sindacati verso lo sciopero generale”, di R. GI:
I sindacati fanno rullare i tamburi di guerra contro l’annunciata riforma delle regole sui licenziamenti. La Cgil da una parte, Cisl, Uil e Ugl dall’altra vanno all’attacco del governo e si dicono pronti allo sciopero generale.
La Cgil parla di norme da «incubo», assicura una «reazione con la forza necessaria» sulla scia della proposta, avanzata già dal numero uno Susanna Camusso, di una mobilitazione unitaria. Anche Cisl, Uil e Ugl non approvano la linea del governo, considerano «un grave errore e una inaccettabile provocazione» l’intenzione di intervenire sui licenziamenti, e minacciano la rottura della «coesione sociale» e, quindi, di scendere in piazza. Lo dicono prima i tre segretari generali, poi le tre sigle lo ribadiscono in una nota congiunta che rappresenta una novità politica importante, forse quasi la nascita di una nuova «Triplice. «Qualora il governo – scrivono le tre organizzazioni – intendesse intervenire sulle materie del lavoro senza il consenso delle parti sociali, Cisl, Uil e Ugl saranno costrette a ricorrere a scioperi». Un primo fronte comune, che però potrebbe marciare diviso: Luigi Angeletti è più possibilista su un’intesa con la Cgil, molto meno Raffaele Bonanni.
Intanto, però, a sostegno del governo arriva il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che da Washington afferma che la lettera inviata dal governo a Bruxelles è «un passo nella giusta direzione», perché il governo assume «impegni chiari». Semaforo verde anche sulle norme sui licenziamenti: «Bisogna eliminare tutte le rigidità – dice – e introdurre più flessibilità».
Silvio Berlusconi respinge le accuse di macelleria sociale e spiega che l’obiettivo del governo è «creare un mercato del lavoro più efficiente, più moderno e aperto a donne e giovani». La lettera contiene «impegni seri», che tutti dovrebbero sostenere, a cominciare dalle opposizioni. Che dovrebbero smetterla con la «cantilena delle dimissioni» anche perché l’ipotesi di un esecutivo tecnico non può essere certo considerata una «soluzione». L’intervento sui licenziamenti? «Sono provvedimenti che ci ha chiesto l’Unione europea», assicura il segretario del Pdl Angelino Alfano.
L’opposizione però resta all’offensiva, e persino il segretario dell’Udc Pierferdinando Casini usa toni durissimi. Si tratta, afferma, «di un patto scellerato sottoscritto tra Berlusconi e Bossi che, in cambio della libertà di licenziamento non mette mano alle pensioni». E per stanare il governo, Casini dà 15 giorni di tempo al governo per tradurre in provvedimenti i contenuti della lettera a Bruxelles e dimostrare che «non faccia la fine degli annunci già visti». «Il governo non è più affidabile – attacca il leader del Pd Pierluigi Bersani – come dimostra la lettera alla Ue, che è merce usata, a parte le minacce inaccettabili di entrare a piè pari sul mercato del lavoro». «Sulla riforma del mercato del lavoro, che è il tema oggi più sensibile e contestato tra quelli contenuti nella tanto discussa lettera all’Ue, la posizione del governo non è né giusta né seria», afferma Enzo Raisi, capogruppo Fli nella commissione Attività produttive della Camera.
La Stampa 28.10.11