Fate voi. Non riusciremo a mantenere tutti questi impegni e poi quello che conta, più che il giudizio di Bruxelles, sarà la reazione dei mercati». Non ci ha messo la sua firma nella lettera che ieri Silvio Berlusconi ha portato al vertice europeo. Il ministro dell’Economia è rimasto ai margini della trattativa. «Volutamente», dice chi ci lavora accanto: se tutto dovesse precipitare Tremonti potrebbe sperare di essere il successore del Cavaliere per un governo di transizione. «Macché spiega un ministro che è stato parte attiva nella stesura della lettera – è fuori gioco. Si è messo alla finestra quando ha capito che non era lui a dirigere le danze. E infatti questa volta non è stato lui a definire la griglia di proposte che ci consente di superare l’esame in Europa».
Tremonti non ha sopportato che il ruolo principale nella stesura della missiva sia stato affidato a Romani e Brunetta, con la supervisione di Gianni Letta. Un problema di metodo e protagonismo, ma non è escluso che ci sia una questione di merito. Ad esempio sulle dismissioni e le privatizzazioni l’inquilino di via XX Settembre non avrebbe le stesse idee dei suoi colleghi; non è disponibile alla vendita di alcuni gioielli dello Stato, anche in parte, come Finmeccanica, Eni ed Enel. Aziende che fanno gola ai privati e che potremmo mettere sul mercato per recuperare le risorse necessarie a finanziare la crescita e lo sviluppo. Soldi che serviranno anche ad abbattere il debito pubblico. Per fare questo il governo affiderà l’elaborazione di un piano ad «una commissione ristretta di personalità di prestigio». Ed è quello che Tremonti ha sempre visto come fumo negli occhi. Comunque si tratta di un versante ancora incerto, un terreno scivoloso tutto da definire nel quale Tremonti non potrà essere escluso.
Rimane il fatto, ripetono alcuni ministri, che il responsabile dell’Economia questo giro non ha toccato palla. Martedì sera, quando si è recato a Palazzo Grazioli (dove è rimasto in tutto mezz’ora), la lettera era già stata scritta e si trattava di una bozza, mentre la versione finale con tutte le scadenze non l’ha mai vista. Ne ha preso atto. Del resto per tutta la gestione della vicenda si sarebbe messo sull’Aventino, irritando pure Umberto Bossi, che però continua a proteggerlo. Un atteggiamento che stupisce il premier: «Umberto è l’unico che ancora lo difende, tutti gli altri lo vorrebbero morto». Nessuno nella maggioranza ha più paura delle sue dimissioni, spiegano i berlusconiani. Tra l’altro, Tremonti non può più ergersi a unico interlocutore in Europa: il Cavaliere si sarebbe ripreso il ruolo che gli spetta, perché la lettera porta la sua firma e non quella del ministro dell’Economia.
Il punto però è come dare gambe alle promesse fatte ieri da Berlusconi a Bruxelles. Come trasformare in provvedimenti il «libro dei sogni» e poi farlo passare nelle aule del Parlamento dove l’odore di elezioni anticipate nel 2012 sta nuovamente mettendo in moto le frange legate a Scajola e Pisanu. Tutti attendono l’esito del vertice europeo, ma gli occhi sono puntati sulla reazione che avranno i mercati sull’Italia. Lo scenario del voto, con l’indiscrezione di un patto tra Bossi e Berlusconi per andare a votare il prossimo marzo, sta facendo fibrillare la maggioranza. Anche in un incontro ristretto che si è tenuto ieri nella sede del Pdl si è ragionato di questa eventualità. Il segretario
Alfano ha riunito alcuni ministri e diversi parlamentari a lui vicini, quelli che vengono chiamati i «quarantenni» e che stanno preparando il ricambio generazionale in vista di urne aperte nella prossima primavera. Uno scenario che Alfano considera il più probabile. Nella Lega si parla addirittura di «black list», di maroniani da epurare in caso di voto. Gli estensori di questa lista sarebbero quelli del cerchio magico di Bossi, tra i quali il capogruppo Reguzzoni. Proprio tra lui e due deputati in odore di epurazione (Molteni e Rivolta) è andato in scena un alterco alla buvette di Montecitorio. La tensione è a fior di pelle e ieri alla Camera il governo è andato sotto diverse volte.
La Stampa 27.10.11
Dopo l’armistizio europeo un calvario verso le urne
di Marcello Sorgi
Il compromesso di Bruxelles che ha consentito a Berlusconi di evitare la crisi di governo è stato raggiunto a un prezzo alto e ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che di fronte all’Unione le astuzie non funzionano. Dunque, o l’Italia è in grado di garantire che le riforme elencate nella famosa lettera di intenti – dalle pensioni ai licenziamenti più facili alle liberalizzazioni delle professioni, per fare gli esempi più controversi tra quelli indicati nelle quattordici pagine del testo – saranno realizzate entro tempi brevi e certi, o in caso di inadempienza si troverà quasi automaticamente fuori dal sistema di protezione dell’euro, nel pieno del vortice della crisi. Non a caso si è discusso della possibilità di mettere il testo nel verbale conclusivo del vertice Ue, cioè in pratica di trasformarla in una cambiale che avrebbe reso vincolanti da subito gli impegni presi da Berlusconi ma non ancora dettagliati né trasformati in provvedimenti. E questo malgrado il presidente Napolitano e il governatore e futuro presidente della Bce Draghi si fossero mossi simultaneamente ieri per garantire la serietà delle intenzioni messe per iscritto dal governo italiano e l’impossibilità, in questa fase, di evitare politiche impopolari pur di uscire dalla crisi.
Berlusconi non avrà molte possibilità di godersi il successo della sua missione al ritorno a Roma. A parte il contenzioso aperto con la Lega, e aggravato dalla polemica Fini-Bossi sulla baby-pensione della moglie del Senatùr, che ha infiammato la seduta della Camera, si muovono i sindacati, da sempre sensibili al tema della previdenza e irritati dalle decisioni annunciate dal governo senza consultazione preventiva, mentre le opposizioni continuano a dare battaglia in Parlamento (ieri il governo è andato sotto altre quattro volte).
La via d’uscita a questo calvario, che in tutta evidenza non potrà trascinarsi a lungo, è quella – inconfessabile ma ormai data per scontata nei corridoi di Montecitorio – delle elezioni anticipate. Un mese e mezzo di melina sulle riforme, all’ombra della quale Berlusconi cercherebbe di portare a casa la prescrizione breve e gli altri aggiustamenti procedurali che gli servono per i processi di Milano, e poi la rottura e lo scioglimento. Circola già la data dell’ultima domenica di marzo, come conseguenza di una conclusione anticipata della legislatura a fine anno, per andare a votare con l’attuale legge, rinviando il referendum e tutti i problemi aperti alle prossime Camere e al governo che verrà.
La Stampa 27.10.11