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"Prevenzione dimenticata", di Mario Tozzi

Buoni ultimi in Europa, gli italiani sembrano scoprire, nell’autunno 2011, che il regime delle piogge è cambiato. Non ci sono più le pioggerelline invernali, né le rugiade primaverili. No, qui deflagrano vere e proprie bombe d’acqua. Bombe d’acqua che scaricano in poche ore la stessa quantità di pioggia che un tempo cadeva in qualche mese. Quasi 130 mm di pioggia a Roma (con due vittime) in un paio d’ore, una vittima nel Salernitano, 140 mm in una sola ora alle Cinque Terre e ancora dispersi. Peccato che le alluvioni istantanee (flash-flood) siano ormai da tempo diventate la regola nel nostro Paese e investano anche bacini fluviali minori. Questo non è più il tempo delle grandi piene del Polesine o dell’Arno: nell’Italia del terzo millennio tocca e toccherà sempre più all’Ofanto, piuttosto che al Brachiglione. Le bombe d’acqua sono figlie del clima che si surriscalda e si estremizza: più energia termica a disposizione dei sistemi atmosferici significa maggiore possibilità di eventi fuori scala rispetto al passato. Ma tutto peggiora quando, anziché guardare in terra, si continua a osservare il cielo nella speranza che il fato non sia avverso. L’esempio della Liguria è eclatante: le alluvioni in quella sottile striscia di terra sono e saranno la regola a ogni pioggia un po’ più grave del solito. Per forza: quando si costruisce fino dentro gli impluvi fluviali, il terreno viene reso impermeabile e non assorbe più la pioggia che, invece, si precipita nei corsi d’acqua, ormai non più commisurati a quelle precipitazioni. Così arrivano le alluvioni, dovute alla nostra scarsa conoscenza della dinamica naturale e al mancato rispetto delle regole: se si leva spazio al fiume, il fiume prima o poi se lo riprende. E hai voglia a sturare i tombini a Roma o a decretare lo stato di calamità (che non andrebbe assolutamente favorito, perché si deve operare in prevenzione, non in emergenza) a La Spezia: sono solo palliativi che rimandano alla prossima occasione. Se non si liberano i fiumi dell’aggressione cementizia, se non si rispettano le regole di un territorio così fragile e giovane come quello italiano e se, peggio, si favorisce l’abusivismo anche attraverso sciagurati piani casa e ancor più sciagurati condoni, il problema non si risolverà mai. Ma proprio questo è il punto: nessun decisore politico si impegna nella manutenzione del territorio attraverso piccole opere diffuse. Tutti sperano di lucrare consenso con l’ennesimo ponte inutile o l’ennesimo raddoppio di strada. Così non si opera nell’interesse della popolazione e si degrada il territorio al rango dei Paesi del Terzo mondo, mentre si hanno ambizioni da sesta potenza industriale del pianeta. Le perturbazioni investiranno le solite zone ad alto rischio: l’Alto Lazio, la Campania, la Calabria e Messina. E ascolteremo le solite litanie e giustificazioni, magari appellandosi all’eccezionalità dell’evento che, però, non è ormai più tale. Non si può vivere a rischio zero, è vero, ma, non avendo fatto nulla, non ci si dovrebbe nemmeno lamentare.

La Stampa 26.10.11