Lo “scalone” non è stato cancellato, ma addolcito in “gradini”, e l’età di pensionamento reale sta salendo. Pensare che quella riforma sia la causa dei problemi pensionistici d’Italia è ridicolo, e Sacconi lo sa».
Cesare Damiano, lei come ministro del Lavoro di Prodi riformò lo «scalone» Maroni. Il suo successore, Maurizio Sacconi, accusa: quella riforma ci è costata 10 miliardi, e oggi l’Italia sarebbe a posto.
«Sacconi dice una sciocchezza. Il costo relativo alla rettifica dello “scalone” nell’arco di ben dieci anni, tra il 2008 e il 2017 – è di 7,5 miliardi. Lo dice la Ragioneria. Gli altri 2,5 miliardi servivano per le pensioni dei lavori usuranti, misura attuata con tre anni di ritardo da questo governo. Quel costo peraltro era pienamente compensato da tagli interni al sistema pensionistico: razionalizzazione degli enti, aumento dell’aliquota dei parasubordinati, blocco della scala mobile delle pensioni “ricche”, taglio dei fondi speciali. Tutte misure compensate, frutto di un accordo con Cgil-Cisl-Uil e Confindustria».
Ma senza la sua riforma, quei miliardi non li avremmo spesi…
«Senza questa correzione dolce, avremmo avuto una situazione di ingiustizia determinata dal salto improvviso (in una notte!) dell’età per andare in anzianità da 57 a 60 anni. E il risparmio sarebbe stato modesto».
Oggi però l’Europa esige riforme strutturali. Se il Pd governasse, cosa sareste disposti a fare?
«L’Europa ci chiede giustamente di far quadrare i conti e fare riforme. Ma non possiamo per questo seguire la strada del governo Berlusconi: taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici, licenziabilità dei lavoratori in un mercato già iperflessibile e a rischio shock, distruzione dello Stato sociale. Bossi fa la voce grossa sulla difesa delle pensioni, ma sotto il suo governo le ha duramente saccheggiate per fare cassa. Si pensi all’età pensionabile delle donne, alle “finestre mobili”, al taglio della scala mobile delle pensioni medie, l’aggancio alle aspettative di vita. Hanno sconquassato il sistema. E non dicano che tagliare le pensioni ai padri, o licenziare i padri, serve ai figli. I soldi finiscono nella cassa».
E dunque, che fareste?
«Un altro taglio delle pensioni è sbagliato. Noi del Pd vogliamo che ogni giorno di lavoro alimenti la futura pensione. Che si torni alla flessibilità dell’uscita verso la pensione, come diceva la legge Dini. In una forchetta tra i 62 e i 70 anni si scelga liberamente; chi va prima prenderà di meno, chi aspetta avrà di più. E se i lavoratori con la pensione calcolata con le vecchie regole vogliono andare in pensione, entrino nel nuovo sistema accettando un disincentivo».
Giù le mani dalle pensioni.
«C’è la patrimoniale, la lotta all’evasione, la tassa sulle transazioni finanziarie».
Dunque Bossi fa bene a opporsi…
«Fa propaganda: difende solo le pensioni d’anzianità. Su quelle di vecchiaia pare voler accettare un altro giro di vite. Oggi si va a 65 anni, poi 66 per la finestra, poi 67 con l’aggancio alle aspettative di vita. Ma questi lavoratori, in pensione, ce li vogliamo mandare, prima o poi?» Tuttavia molti esponenti del Pd la pensano diversamente. Renzi vuole abolire le pensioni di anzianità. Letta è d’accordo all’innalzamento dell’età per quelle di vecchiaia.
«Io non sono d’accordo con Renzi e con Letta. Penso che nel nostro partito si dovrà fare una discussione che porti, come sempre, a una sintesi».
L’Unità 26.10.11