Possiamo andare a votare a dicembre? «Perché no» è la risposta secca di Pier Luigi Bersani. Con un gruppo di deputati democratici, in un corridoio laterale della Camera, il segretario fa un’analisi impietosa della situazione. Prevede lo show down a brevissimo, «la letterina di Berlusconi può far guadagnare 2-3 giorni». E poi? «Se anche l’Europa dovesse accettare questo accordo minimo, ci penseranno i mercati a darci una bastonata. Ormai i nostri titoli di Stato li comprano solo le banche italiane e la Bce. Che succede se la Banca centrale smette di acquistarli? Come fa a ingoiare un’intesa sul nulla?».
Pensa già al dopo, Bersani. «Il governo di transizione sul modello Ciampi sarebbe l’ideale, è un’ipotesi che si rafforza in questo momento. Ma da sempre temo che Berlusconi abbia pronto il lanciafiamme e sia pronto ad usarlo contro il Paese. Quindi è una soluzione non facile. Può nascere un governo Letta. Sarebbe un passo avanti ma dovrebbe fare le riforme. E noi rimarremmo all’opposizione». La terza via è il voto anticipato. Non a marzo, è troppo tardi. A dicembre «perché no» insiste Bersani lasciando intendere che la considera molto più di una probabilità. «Anche in Spagna non sono abituati a votare d’inverno. Eppure le elezioni le fanno il mese prossimo…».
Di tutto questo, racconta Bersani rispondendo alle domande dei presenti, ha discusso con Pier Ferdinando Casini nel pranzo di lunedì. È la seconda volta che si vedono “d’urgenza” a Bologna. «Facciamo il punto quando la fase diventa critica. Ma parliamo anche del futuro. Io mi preoccupo di rendere potabile e credibile per il governo un’alleanza di centrosinistra, quella che chiamano la foto di Vasto. In fondo, è il compito principale del segretario del Pd: cercare di tenere insieme le anime del centrosinistra. Ma la prospettiva finale rimane l’alleanza con i moderati. L’ho detto a Casini, capisco che guardando i sondaggi il Terzo abbia la tentazione di correre da solo. Ed è vero che un’intesa con loro si può trovare anche a urne chiuse. Ma è diverso fare un patto prima del voto anziché dopo».
Casini cosa risponde durante i pranzi bolognesi? «Da due anni il Pd parla di ricostruzione, di crisi sociale, del pericolo di un crollo della nostra economia. Io vedo in Casini una consapevolezza nuova rispetto al passato. Adesso condivide la nostra analisi». Il leader democratico fa capire che un pezzo di strada con l’Udc è già stato fatto, che manca poco a un patto per il governo. Ma Berlusconi è ancora in sella, l’accordo con la Lega in qualche modo regge. «Ho parlato con Maroni. Gli ho detto che o staccano la spina o pagheranno il conto con gli elettori. Perché Berlusconi non mollerà mai. Non ha un partito vero come ce l’ha Zapatero. Io quella storia la conosco bene. Un bel giorno sono andati da lui 5-6 dirigenti del partito socialista e gli hanno spiegato: “Zappy, è finita, ti devi fare da parte. Magari perderemo le elezioni, così però abbiamo la speranza di non essere cancellati”». Nel Pdl sono in grado di fare lo stesso?
Dice Bersani che l’Unione «sta dicendo a Berlusconi: devi andare a casa». Ed è inutile rigirare la frittata aggrappandosi alle debolezze di Merkel e Sarkozy. «Sarà pure vero che il settore industriale tedesco soffre, ma noi siamo il fanalino di coda dell’Europa. Ed è vero che le banche francesi hanno in pancia tanti titoli tossici. Ma lì regge un sistema complessivo, sul mercato gli istituti francesi trovano sempre nuove risorse. Senza contare che sia la Francia sia la Germania hanno i soldi per salvare chi è in difficoltà, noi no. In America tante banche sull’orlo del fallimento il giorno dopo hanno accolto nuovi investitori senza fargli pagare un centesimo più del giorno prima. Perché nessuno può credere che gli Usa vadano gambe all’aria. Noi invece corriamo il rischio. Siamo troppo grandi per essere aiutati dagli altri, ce la dobbiamo fare da soli».
Se la salvezza passa dal voto, se Berlusconi ha veramente deciso di usare il lanciafiamme, che voto sia. Prima di marzo, prima dei danni irreparabili. «Non è vero che stiamo meglio degli altri, che alcuni nostri fondamentali reggono. Le banche italiane sono solide seppure fanno una fatica enorme a trovare i soldi sul mercato. Perché il Paese non funziona, perché tutti vedono che rischiamo grosso. E temo che i prossimi giorni ce lo ricorderanno».
La Repubblica 26.10.11