Senza le dimissioni del premier nessuna disponibilità dem a “collaborare”. Tutto il Pd, senza eccezione alcuna, è convinto che non ci sia veramente altro da fare: senza le dimissioni di Berlusconi, l’Italia non potrà uscire dalla crisi. Non potrà, cioè, soddisfare le condizioni poste dall’Europa, Francia e Germania in testa, né prima né dopo la scadenza di domani.
«Siamo vicini alla crisi», dice senza mezzi termini Enrico Letta. «Sta avvenendo quello che abbiamo detto tante volte», rivendica Pier Luigi Bersani, che spiega: «Quel che faranno sarà poco, ma fosse anche tanto non basterebbe.
Gli altri paesi hanno fatto elezioni o cambiato governo». Due opzioni che rimangono entrambe sul tavolo, perché i dem non vogliono precludersi alcuna strada. Quel che è certo è che il Pd non sosterrà in parlamento qualsiasi proposta dovesse giungere dal governo.
Bersani ha ribadito che il partito è pronto a discutere il proprio pacchetto di interventi (i principali: riforma fiscale, liberalizzazioni, dismissioni degli immobili demaniali, dimezzamento dei parlamentari e snellimento degli organi periferici).
Solo all’interno di un complesso di riforme, i dem sono disponibili a discutere anche di pensioni. «Noi pensiamo con molta chiarezza che i sacrifici vadano fatti – spiega Letta al Tg3 – ma la nostra idea di sacrifici è molto diversa da quella del governo attuale».
Il principio è chiaro: «Chi più ha, più dà». I toni, su questo, restano comunque diversi anche dentro il Pd. Per Bersani, l’Italia ha già fatto più di Francia e Germania e un ulteriore passo in avanti può andare solo in direzione di un «meccanismo flessibile per innalzare l’età effettiva, attraverso incentivazione e disincentivazione ». MoDem chiede più coraggio e, con Enrico Morando, invita ad accelerare l’entrata a regime della legge Dini, con un correttivo verso l’alto delle soglie di età («da un minimo di 61, quasi 62, a un massimo di 69» e «una deroga almeno per gli operai», in attesa che si definisca una lista dei lavori usuranti).
Il dibattito interno sul merito, però, sarà affrontato con calma. Il Pd non ha mai avvertito così forte la possibilità di una caduta del governo. Il siparietto di domenica tra Sarkozy e Merkel è stato stigmatizzato da più parti: «Mi sono prima di tutto irritato e mi sono sentito anche umiliato ingiustamente», ha spiegato anche Romano Prodi.
Letta ieri mattina è stato ricevuto dal capo dello stato, al quale ha ribadito la disponibilità per un esecutivo di transizione, formato da personalità di alto profilo e con una larga maggioranza parlamentare. Questa rimane la priorità per una maggioranza trasversale interna al Pd. In ogni caso, al Nazareno sono convinti che qualsiasi svolta rispetto all’attuale stallo politico indurrebbe l’Ue a concedere un margine di fiducia (e di tempo) all’Italia. Perfino per affrontare una campagna elettorale.
Per questo, i dem continuano a tenere d’occhio i sondaggi, che danno il centrosinistra ancora vincente, anche nel caso in cui il Terzo polo non accettasse la proposta di un’ampia alleanza.
Bersani e Casini si sono visti ieri mattina a Bologna per fare il punto sulla situazione e dare il segnale di un dialogo che procede per la costruzione di un’alternativa.
Entrambi si sono detti «preoccupati » ma la discussione tra i due si è spinta anche più in là. «Non è che possiamo fare il governo qui», ha frenato le illazioni Casini. «È stata una chiacchierata sulla situazione politica – è la ricostruzione di Bersani – mi pare che siamo abbastanza consonanti. Oggi tutta l’opposizione chiede che ci sia un segnale di cambio politico».
da Europa Quotidiano 25.10.11
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“Al Colle sembra pre-crisi”, di Mario Lavia
Il Quirinale, preoccupato, al centro delle triangolazioni tra maggioranza, opposizione e partner europei Come al tempo della caduta della Prima repubblica. All’epoca si formò un “triangolo istituzionale” composto dal capo dello stato Scalfaro, il presidente del senato Spadolini e il presidente della camera Napolitano in grado di reggere il timone. Oggi quest’ultimo è al vertice del nuovo triangolo, con Schifani e Fini.
Il compito è il medesimo, guidare la barca in tempesta che è economica e politica insieme, proprio come allora. Napolitano infatti è in contatto costante con Schifani e Fini. Quasi una consultazione permanente.
Perché il Presidente si prepara a tutte le evenienze, a partire da quella, fortissima, di una crisi di governo. Sapendo che sul “dopo” è buio: pare che lo abbia fatto sapere anche ai suoi interlocutori stranieri.
Al Quirinale in mattinata è salito un Berlusconi che è parso, forse per la prima volta, molto preoccupato. Lui che solitamente fa di tutto per creare con l’inquilino del Colle un clima oltremodo disteso, persino apparendo talvolta fuori luogo, ieri non ha fatto nulla per sdrammatizzare.
E Napolitano, che ormai lo conosce bene, ha colto subito la novità. L’unica cosa che poteva dire, il capo dello stato l’ha detta con chiarezza, invitando il premier a mantenere gli impegni assunti fin dalla scorsa estate con l’Europa.
Con ciò sposandone l’appello a mettere in campo misure concrete per la crescita, le liberalizzazioni, la riforma del mercato del lavoro, gli interventi fiscali e sulla previdenza: tutte cose che l’Europa richiede all’Italia da tempo, ma a cui finora, com’è noto, il governo non ha messo mano.
Berlusconi ha preso atto, senza sbilanciarsi troppo. ha fornito qualche assicurazione. Ma con la fronte aggrottata, come di chi sia stanco e forse non ottimista sull’impresa. Di fatto, non ha calato particolari carte nuove. Il classico incontro «interlocutorio». Poi, nel quadro di un giro d’orizzonte assolutamente informale ma non per questo di poco conto, Napolitano ha visto anche Enrico Letta.
Raccomandando «responsabilità » ma soprattutto ascoltando le ragioni illustrate dal vicesegretario del Pd. Non gli ha chiesto di agevolare misure governative su pensioni o altro: sa, il Presidente, che da questa estate, quando le opposizioni non si misero di traverso alla manovra (pur non condividendola), il quadro è radicalmente cambiato. «Via Berlusconi e poi si ragiona», è il leit motiv del Pd.
La “carta” del governo d’emergenza ribadita da Enrico Letta, nella giornata di ieri ha fatto passi avanti. Tanto che allo stato dei fatti è la prima ipotesi che si fa su un eventuale dopo-Berlusconi.
Ipotesi tutta da costruire, s’intende. A partire dalla non piccola impresa di “costringere” un Cavaliere a quel punto disarcionato ad accettare una soluzione d’emergenza, o istituzionale, che potrebbe vedere in Gianni Letta o più probabilmente in Renato Schifani il protagonista.
Di queste possibilità comunque si parla. Non lo fa Napolitano, che attende di capire come Berlusconi riuscirà, se riuscirà, a passare domani l’esame europeo. Ma ci si predispone al peggio. Così si spiegano i continui contatti con la seconda e terza carica dello stato. E si cominciano anche a fare i calcoli.
Come questo: se il governo cadesse a giorni e ogni ipotesi di altri esecutivi si rivelasse impraticabile, si andrebbe alle urne a gennaio-febbraio.
Periodo sconsigliatissimo per una popolazione che manifesta ad abudantiam segni di insofferenza verso un appuntamento elettorale. E Giorgio Napolitano questo lo sa bene. Per ora attende, senza grande entusiasmo.
da Europa Quotidiano 25.10.11