La credibilità del governo italiano è sotto zero. Il contagio della crisi greca – prodotto anche dal fallimento delle politiche europee – è una minaccia che incombe su di noi, accentuata dalle nostre strutturali debolezze. L’Europa vive un passaggio cruciale, da cui dipenderà il destino della moneta unica e probabilmente dell’intera Unione
E in questo passaggio l’Italia non c’è. Non è rappresentata. Il suo premier non facilita il compromesso finale, non cerca di spostare l’asse europeo verso un rafforzamento delle istituzioni comunitarie (come nella storia del nostro Paese): è piuttosto un problema, un interlocutore sgradito, un’incognita che grava sull’intera Europa. Le cancellerie dell’Occidente si domandano come mai una sfiducia così ampia, interna ed esterna, non basti a innescare un ricambio, un rinnovamento. Ma il sistema modellato dalla Seconda Repubblica è così rigido, così strutturato su leadership personali, da consentire a Berlusconi di resistere nel bunker pur avendo contro, non solo le opposizioni, ma tutte le forze sociali e persino buona parte del suo partito. La stessa politica è così screditata da alimentare disillusione e disimpegno: in fondo il vero promotore dell’antipolitica è sempre stato lui, Berlusconi, e oggi è fin troppo scoperto il suo gioco di dire che tutti sono uguali e ugualmente incapaci. Eppure non bisogna rassegnarsi al declino. È un dovere morale. Ma è anche il giusto riconoscimento all’Italia che già lavora alla ricostruzione. L’Italia delle famiglie che destinano il tempo e i risparmi ai figli precari e agli anziani non autosufficienti. L’Italia del lavoro che tiene in vita il tessuto produttivo, la creatività, la manifattura, la professionalità sempre più necessari alla competizione globale. L’Italia della scuola e dell’università, che sopperisce con la volontà e la dedizione al vuoto di governo. L’Italia del volontariato e della gratuità, che continua a tessere reti di solidarietà umana contrastando l’egemonia individualista. Anche nel deficit della rappresentanza politica, la voglia e il desiderio di rinnovamento continuano ad attraversare la società e a resistere alla penalizzazione dei corpi intermedi. Proprio dai corpi intermedi e dai nuovi movimenti sociali sono peraltro giunti in queste settimane segnali di grande valore politico e culturale. La manifestazione del 15 ottobre, percorsa da decine di migliaia di giovani che non accettano la condanna al precariato perpetuo, è stata un segno di vitalità e di speranza benché martoriata dalla violenza barbara e inaccettabile dei “neri”.Sono stati convocati come indignati, ma superare l’indignazione per incidere nel cambiamento era nella stragrande maggioranza una convinzione ben radicata. Negli ultimi giorni abbiamo rivisto anche affollate piazze sindacali. E altre ne vedremo presto. Come la storia dimostra, le lotte sociali sono una leva importante di ricomposizione politica purché riescano anch’esse ad alimentare il circuito partecipativo e democratico: a questo proposito, è davvero di straordinario rilievo il fatto che Susanna Camusso, da ogni palco, non perda occasione di sottolineare come l’antipolitica sia un veleno di destra iniettato per ridimensionare la questione sociale e le istanze egualitarie. Le forze sociali sono state capaci anche di ricostruire un patto tra di loro. A dispetto di un governo che ha fatto della divisione la propria strategia di fondo. Oggi, per i giornali della destra, Emma Marcegaglia è diventata un nemico al pari della Camusso. Ma anche questi, al fondo, sono segni di speranza per chi vuole ricostruire. Come lo è stata la riunione delle associazioni cattoliche a Todi. Chi immaginava una riedizione dei Comitati civici, magari in funzione di un nuovo partito di centrodestra è rimasto deluso. I movimenti cattolici vogliono contare di più, anche nella politica. Ma sanno di doversi misurare con un ineliminabile pluralismo di opzioni partitiche (anche perché è esso stesso figlio del Concilio). E non possono non portare a tutti la sfida di una coerente etica della vita e di una scelta antropologica che rispetti l’uomo e la fraternità. Si tratta di una sfida laica, volta esplicitamente alla ricostruzione, a cui tutte le forze di cultura umanistica dovranno rispondere con la serietà e le differenze che libertà e laicità determinano. Un dato però emerge con sempre maggiore nettezza dal confronto con i corpi intermedi, compresi quelli di matrice cattolica: il berlusconismo ha prodotto una progressiva divergenza tra i moderati e la destra. Divergenza che ha riscontri in Europa. E che resterà come eredità politica: la ricomposizione del centrodestra del ’94 appare sempre più irrealistica, a meno che un nuovo demenziale sistema politico-istituzionale non costringa il bipolarismo dentro sbarre ancora più rigide.
L’Unità 23.10.11