«Non possono fare con un provvedimento ciò che non hanno fatto in tre anni». Pier Luigi Bersani osserva a distanza i movimenti del governo sul decreto sviluppo, il va e vieni di ministri a Palazzo Grazioli, le uscite di chi preventiva un pacchetto di misure a costo zero e di chi sostiene che una simile ipotesi sarebbe impraticabile. E la conclusione del leader
del Pd non è sotto il segno dell’inedito: «Devono farsi da parte ». Il richiamo dell’Unione europea ad approvare in tempi rapidi riforme strutturali per la crescita costituisce per Bersani un ultimo avvertimento che esporrebbe il nostro Paese a gravi rischi, se disatteso.
Ma ormai, dice il vicesegretario del Pd Enrico Letta, è evidente che questo governo «invece di essere costruttore di soluzioni è diventato il problema di questo Paese». E determinate uscite di personalità di primo piano del centrodestra spingono il Pd a stringere i tempi per quella che Bersani definisce l’«alleanza con gli italiani». Un’alleanza che il leader dei Democratici vorrebbe già visibile in piazza San Giovanni, il 5 novembre, in una manifestazione che nelle sue intenzioni sarà «una festa popolare» in cui verranno
presentate le proposte del Pd per la «ricostruzione» e a cui, dalle telecamere del Tg1, invita a partecipare «tutti»: «E chi non vuol portare la bandiera del Pd porti il Tricolore».
Che il decreto sviluppo sarà un tornante decisivo per le sorti del governo, per dargli fiato per affossarlo definitivamente, lo sanno tutti. Lo sanno i leader della maggioranza: quelli come il ministro leghista Roberto Maroni, per il quale «se Berlusconi accetterà la sfida arriveremo tranquillamente al 2013 e rivinceremo, altrimenti, sarà un disastro », e quelli come il segretario del Pdl Angelino Alfano, che mette le mani avanti sottolineando che «non bisogna caricare il decreto di attese salvifiche». Ma lo sanno soprattutto i leader dell’opposizione, che ora vogliono imprimere un cambio di passo alla definizione delle alleanze.
PROGRESSISTI E MODERATI
Bersani continua a lavorare all’alleanza tra progressisti e moderati, rassicurando da un lato Nichi Vendola e Antonio Di Pietro che dopo la definizione del programma ci sarà un’ampia consultazione per scegliere il candidato premier, dall’altra continuando a muoversi in asse con Pier Ferdinando Casini su diversi terreni (da ultimo su Bankitalia). E segnali diversi da quelli di solo qualche settimana fa arrivano da tutte le parti. Il leader dell’Idv dice che ora «dobbiamo smettere di indignarci e avviare una proposta costruttiva», quello di Sel dice che ora la necessità è capire se con Casini «condividiamo lo stesso progetto per l’Italia» e quindi «bisogna confrontarsi sui contenuti delle politiche». E anche dall’Udc arriva la disponibilità a discutere una «comune agenda». Pierluigi Mantini, rispondendo all’articolo di Nicola Latorre pubblicato ieri dall’Unità, dice che ora non vanno posti «frettolosi aut-aut», ma aggiunge: «Siamo disponibili a trasformare le molte proposte comuni dell’opposizione in un’agenda di governo per l’Italia del futuro,mal’impegno deve trovare il Pd disposto ad andare oltre il “perimetro di Vasto”». Che è proprio l’intenzione di Bersani.
L’Unità 22.10.11