"La ferocia e la catarsi" di Bernardo Valli
Con la morte di Muammar Gheddafi finisce un incubo. Non costituiva più una minaccia. Il potere era ormai in mano agli insorti, ma l´idea che la “guida”, onnipotente per quarantadue anni, si potesse aggirare ancora nel Paese con i suoi fedeli, armato e pieno di progetti tendenti a mettere a ferro e a fuoco Tripoli, Bengasi, Tobruk, creava angoscia, alimentava le voci sui presunti nascondigli. Si diceva che il raìs vivesse in un bunker, nel cuore della capitale, sotto i piedi dei manifestanti che lo dileggiavano o lo maledicevano. E a un certo punto sarebbe spuntato fuori pronto a punire gli insolenti, che l´avevano applaudito per decenni. Altri lo immaginavano al sicuro, con i suoi petrodollari, in qualche paese africano. O nel deserto. Altri giuravano che l´onore beduino, l´orgoglio tribale, lo costringesse a restare con i suoi. A morire con loro. Avevano ragione. La mancata cattura di Gheddafi ritardava l´installazione definitiva dei nuovi governanti a Tripoli. Alcuni di loro restavano a Bengasi come se la capitale, con Gheddafi in libertà, fosse insicura. E così avanzava …