L’ultimo braccio di ferro, per fortuna, non attiene alle sue responsabilità, né dirette né indirette: ma potesse dir qualcosa sulla sconcertante vicenda della nomina del Governatore di Bankitalia, Napolitano non nasconderebbe delusione e disappunto. Di quel che si è mosso e si muove intorno alla sostituzione di Mario Draghi, non gli è piaciuto probabilmente niente: non le sponsorizzazioni politiche di questo o quel candidato e nemmeno certi comportamenti personali – diciamo talune impuntature – che hanno ulteriormente complicato la ricerca di una soluzione.
Del resto, non è che manchino campi e questioni sulle quali il Presidente sia da tempo costretto a manifestare la propria combattiva amarezza: e ieri, intervenendo alla tradizionale cerimonia per la nomina dei nuovi cavalieri del lavoro (con al fianco un Berlusconi stanco e sonnecchiante) ha appunto rielencato questi campi e queste questioni. Aggiungendovene un paio del tutto nuove: la preoccupazione che il clima sempre più preelettorale peggiori ulteriormente le cose, e poi quella che ha definito «la frustrazione giovanile», andata in piazza sabato a Roma e deturpata dall’azione irresponsabile di frange estreme.
Al Quirinale, qualcuno dei collaboratori del Capo dello Stato, si spinge a paragonare l’intervento di ieri del Presidente a una sorta di «operazione verità». Una verità che le forze politiche annusando aria di elezioni anticipate probabilmente non possono o non vogliono più dire. E la verità, secondo Napolitano, è che in una situazione così difficile per il Paese non si scorgono né il clima né l’impegno e nemmeno le misure adatte a fronteggiare l’emergenza.
Ognuno dovrebbe fare la sua parte, e questo non accade: il richiamo è «in primis» per il governo, inevitabilmente, mentre – annota Napolitano – «molto sta facendo il mondo delle imprese». E’ qualcosa, ma certo basterà: soprattutto se non si mette con urgenza mano a quel «pacchetto crescita» per il quale, invece – secondo il premier una volta non ci sono i soldi, un’altra non c’è fretta ed una terza «qualcosa ci si inventerà». Non è così che si riuscirà a tirar fuori la testa dall’acqua: a maggior ragione se, come sottolineato, maggioranza e opposizione dovessero cominciare a torcere questioni e soluzioni in rapporto alle rispettive convenienze elettorali.
Un’ultima annotazione, facilmente comprensibile da chi ha seguito da vicino l’evolversi degli sforzi e degli appelli del Capo dello Stato. E’ dall’apparire all’orizzonte della crisi che Giorgio Napolitano ripete incessantemente il suo invito all’unità e alla coesione sociale: bene, da questo punto di vista, l’ultimo mese viene definito – al Quirinale – un mese «gonfio di amarezze». Infatti, non c’è settore nel quale – piuttosto che al crescere della coesione non si sia assistito al moltiplicarsi delle divisioni e delle spaccature.
Diviso il sindacato, divisa Confindustria, divise – perfino al loro interno – le forze di maggioranza e di opposizione. E per finire, drammatiche divisioni in piazza: novità che sembra avere scalato molte posizioni nella graduatoria delle preoccupazioni del Presidente. La frase pronunciata ieri di fronte ai cavalieri del lavoro è di quelle forti, e nient’affatto dettate dal caso: «La questione della disoccupazione e della frustrazione giovanile – ha annotato Napolitano – deve essere al centro delle nostre preoccupazioni. E parlo di preoccupazioni per la coesione sociale e anche per l’equilibrio democratico e la convivenza civile».
E’ perfino questo che si rischia, lasciando senza risposte una generazione che non può continuare a fare della precarietà l’unica propria certezza. Presidente dalla lunga esperienza politica e parlamentare, Napolitano ha già visto le terribili degenerazioni che si possono strumentalmente innescare a partire dalla «frustrazione giovanile». E’ per questo che lancia il suo allarme. Sperando che non segua sorte identica agli appelli alla coesione, applauditi da tutti ma ascoltati – in verità – quasi da nessuno…
La Stampa 20.10.11