La lingua italiana contiene un’espressione preziosa per capire cosa sta succedendo: «Giocare allo sfascio». Perché spaccare tutto può essere anche un gioco, con le sue regole e i suoi principi. Un modo di giocare allo sfascio è quello di Silvio Berlusconi, per ragioni talmente evidenti e talmente note che non c’è bisogno di ripeterle.
Un altro, forse meno indagato, è invece il modo di Sergio Marchionne, riuscito ieri in un piccolo capolavoro retorico: quello di mostrarsi ugualmente sprezzante, nello stesso discorso, con la presidente di Confindustria, con i lavoratori in sciopero ad Atene e con i manifestanti di Roma.
«Lo abbiamo visto con gli scioperi in Grecia per due giorni, sono cose che non risolveranno niente – ha detto il manager – scioperare, protestare non serve a niente». E nella stessa occasione ha aggiunto: «Non chiedetemi nemmeno di esprimere, per quanto riguarda la Fiat, un’opinione sulla ex presidente di Confindustria».
Non si trattava di una battuta fuori tema. Giusto ieri, infatti, Emma Marcegaglia rispondeva con una lettera sul Corriere della Sera alle accuse del professor Francesco Giavazzi. In breve, secondo Giavazzi, Confindustria sarebbe una lobby che tutela interessi corporativi, dunque un freno alle riforme, come dimostrerebbe il suo accordo con la Cgil per disinnescare l’articolo 8 (quello sui licenziamenti facili). Esattamente le ragioni per cui Marchionne ha fatto uscire Fiat da Confindustria.
Cosa intenda Giavazzi per «riforme», dato il contesto, non è difficile capirlo. Basti ricordare che insieme ad Alberto Alesina è autore di un libro intitolato «Il liberismo è di sinistra», e che il giorno del crollo di Lehman Brothers, da liberista ortodosso, scrisse sul sito lavoce.info che era stata «una buona giornata per il capitalismo». Pensare che oggi, in Italia, la risposta alla crisi sia semplicemente permettere agli imprenditori di licenziare di più significa preparare a tutti noi molte altre buone giornate del genere.
A voler fare lo stesso gioco, si potrebbe quasi sorriderne. Dopo avere usato quegli argomenti per criminalizzare i politici della «casta», gli statali «fannulloni» e i sindacati che li difendono – si potrebbe dire alla Confindustria – adesso vi prendete la vostra razione. Del resto, quale associazione è più “corporativa” e “privilegiata” della vostra?
Così però si farebbe il gioco di Marchionne, che ora lancia pure una campagna pubblicitaria sulla Panda con una serie di sketch tutti contro la «casta», con un politico che parla al telefono nel sedile posteriore di un’autoblu, facendo dichiarazioni demagogiche, e poi dice all’autista di mettere la sirena perché vuole andare a pranzo. Ma il gioco, a questo punto, è fin troppo scoperto. È evidente il tentativo di indirizzare contro partiti e sindacati la rabbia popolare alimentata dalla crisi, per farne pagare il costo a lavoratori e pensionati, invece che ai massimi beneficiari del sistema che quella crisi ha generato. Dalle pagine a pagamento sui giornali intitolate «politici ora basta» di Diego Della Valle alle intemerate di Luca di Montezemolo, l’aristocrazia finanziaria di questo Paese sembra decisa a intervenire direttamente nell’agone politico.
I modi appaiono ancora confusi e contraddittori. Del resto, i nostri miliardari non sono meno divisi e sospettosi dei politici che amano criticare. Ma per conquistarsi uno spazio, dopo tanti anni di comoda e tutto sommato felice convivenza con il berlusconismo, forte è in loro la tentazione di farsi largo delegittimando prima ogni alternativa in campo.
Sarebbe facile ripagarli della stessa moneta. Ma per giornali e partiti di opposizione è tempo di uscire dalla stanza dei giocattoli e fare i conti con la realtà. Se vogliamo evitare di finire come la Grecia, ci sarà bisogno di molte energie. Non appena gli irresponsabili attualmente al governo saranno costretti a passare la mano.
L’Unità 20.10.11