Solo un analista grossolano può stupirsi dinanzi alla strana coppia Maroni-Di Pietro sorpresa a invocare leggi speciali per la difesa dell’ordine violato dagli infiltrati nei cortei. Avrebbe dovuto piuttosto destare meraviglia il tentativo inopinato, da tempo condotto dall’ex pm, di cavalcare la protesta e di agganciarsi alle parti più radicali
del sindacato. Il fatto è che il populista non scarta nulla, assorbe gli echi lontani del tintinnio delle manette e i rumori vicini dei tamburi della lotta più dura. Non ha problemi di coerenza, e soprattutto non ha memoria il populista. Quando poi un partito si identifica con una persona, e sia la Lega sia l’Idv hanno un forte marchio personale, e ora persino familiare, ogni acrobazia, anche la più spericolata diventa possibile.
La resuscitata questione dell’ordine nasconde un problema sempre caldo. La storia d’Italia ha provocato ferite che ancora bruciano per poter affrontare con superficialità un nodo così virulento come quello del rapporto tra violenza e movimento politico. Maroni, che pure riscuote apprezzamenti per la misura e la compostezza (è però davvero adeguato, allo stato attuale del fenomeno, la sua definizione di «terroristi urbani in azione»?), ha preferito dare sfogo all’anima populista che abita nel suo partito piuttosto che privilegiare una rigorosa logica della verità. Lo stesso canone della semplificazione strumentale ha subito agitato Di Pietro dopo i fatti di San Giovanni. Il paradigma del populismo si risolve sempre in un inesauribile innalzare di grandi cortine fumogene. I problemi reali restano, solo vengono coperti da inoffensive parole di fuoco. La polizia non ha però bisogno di sparate demagogiche e di devianti promesse su imminenti leggi repressive. Non possiede mezzi moderni, non ha ricambi di uomini, non gode di salari adeguati. Questa è la sostanza. L’aspetto poliziesco della
vicenda romana è il meno allarmante. Una vigile attività preventiva, una efficace dotazione di uomini e mezzi non possono certo far temere di soccombere dinanzi al demone della violenza riapparsa. Quello che più brutte grane è invece destinato a procurare al Paese è un berlusconismo ormai al crepuscolo che non vuole perire e si aggrappa all’emergenza per poter
sventolare l’immagine fasulla di un governo che davvero conta e che decide con prontezza qualcosa (sospendere per un mese processioni e cortei). Con l’emergenza da tenere a bada con perfetti uomini d’ordine pronti a brandire il loro santo manganello redivivo, il Cavaliere può spacciare la perfida illusione di essere ancora un potere reale. La morfina che tiene il suo governo malato disperatamente aggrappato alla spina è oggi fornita dalla miscela di emergenza e di antipolitica. Molti giornali, che hanno iniettato a dosi massicce la chiacchiera della politica come casta da prendere a pedate, ora si preoccupano che un governatore inquisito abbia vinto di nuovo grazie al soccorso nerastro di Grillo. Davvero la retorica dell’anticasta, o come la chiama ora l’ineffabile Marco Travaglio il mito conclusivo dell’epurazione come liberazione, o anche l’immagine televisiva di una “piazza pulita”, possono avere altri sbocchi che quelli di una immane ventata di destra? Prima nelle colline piemontesi, ora anche nelle montagne molisane Berlusconi ringrazia i gruppi editoriali concorrenti per il bel dono ricevuto. Anche le prove tecniche di rivolta condotte in via Labicana sono per la destra, che pareva agli sgoccioli, un potente energetico. Sono anni che dei piccoli intelletti si esercitano con libri, con riviste e con pratiche di azione cosiddetta antagonista a sperimentazioni della rivolta. Bruciare i cassonetti, rompere una vetrina, danneggiare una
macchina o scalfire un bancomat per queste minoranze nichiliste equivale ad accendere la contagiosa miccia della sedizione risolutiva. Sciocchezze infantili. L’immenso Machiavelli, che amava il conflitto sociale e politico (fu il primo nella storia del pensiero moderno), distingueva tra tumulti, rivolte disperate e il vero conflitto che produce innovazione, libertà e mutamenti di istituzioni. Ogni vero conflitto che esprime un disagio sociale reale segue sempre la logica della grande politica che con le riforme progetta i nuovi ordini possibili.
L’Unità 19.10.11