Condanna le violenze «inaccettabili», ma sottolinea che il movimento «esprime nel profondo un’esigenza che la politica deve cogliere». Soprattutto Pier Luigi Bersani guarda alle «cose incredibili e vergognose» accadute a Roma e pone una questione precisa: «Com’è possibile che una banda di centinaia di delinquenti abbia potuto devastare, aggredire, incendiare e tenere in scacco per ore il centro di Roma?».
Il leader del Pd, reduce da una festa a Firenze per il quarto compleanno del partito, parla nelle ore in cui nella capitale si scatena l’inferno. «Questi provocatori colpiscono al cuore le ragioni di un movimento internazionale che vuole esprimere un disagio e una critica all’attuale assetto dell’economia mondiale».
Scene da guerriglia urbana e il messaggio degli “indignati” finito nell’ombra: una sconfitta per tutti, onorevole Bersani?
«No, se ogni protagonista del movimento che intenda esprimere pacificamente le sue idee isolerà chi ha compiuto queste violenze».
Sono istanze fondate quelle che pongono gli “indignati”?
«Questo movimento non ha una piattaforma ma istanze generali. Però criticando l’attuale assetto dell’economia mondiale, della finanza, dei privilegi e dei facili arricchimenti di pochi mentre tanti si impoverivano, esprime un’esigenza che la politica deve cogliere».
Difficile convincere questi ragazzi che la politica sia altro da quanto visto in Parlamento il giorno della fiducia, non crede?
«È chiaro che c’è una distanza stellare tra le esigenze espresse e la raffigurazione ordinaria di questa nostra politica. Quando abbiamo deciso, giustamente, di non accettare di assistere al 53esimo rito stanco di un uomo che vuole solo sopravvivere, abbiamo dato un segnale che non stiamo tutti nel mucchio, che c’è Berlusconi e ci sono gli italiani. Le due realtà non coincidono».
Berlusconi però ha ottenuto la fiducia e rimane al governo.
«I dati essenziali della giornata di venerdì sono altri. Il primo, i tempi si sono accorciati, perché la maggioranza perde pezzi ed è costretta a pagare cash in poltrone la propria sopravvivenza. Il secondo, Berlusconi è in campo, ferito, indebolito, totalmente paralizzato nell’azione di governo ma intenzionato ad avvitarsi ancora di più attorno al meccanismo padronale, personalistico, populistico che ha introdotto. Questo deve indurre a una riflessione tutte le forze di opposizione, che in questo passaggio hanno compiuto un passo avanti molto rilevante. Per la prima volta c’è stata una convergenza visibile di tutti coloro che si oppongono a questo governo».
Lei parla di passo avanti ma la proposta di un’alleanza tra progressisti e moderati sta in campo da mesi senza che si giunga a un vero accordo.
«La nostra proposta parla di un’esigenza di ricostruzione, oltre che dell’incontro tra progressisti e moderati. Il confronto non sarà solo tra un governo e un altro, ma tra l’idea di uomo solo al comando e l’idea di riforma della democrazia rappresentativa. Chi per calcoli o piccoli problemi avanza preclusioni pregiudiziali e vuole sottrarsi a questa scelta, poi deve spiegare come si fa a evitare che vinca Berlusconi e il berlusconismo».
Berlusconi potrebbe anche passare la mano nel tentativo di allargare ai centristi, non crede?
«Questa è un’illusione. Quando c’è un partito del predellino non ci può essere un successore, solo un paravento. Un padrone è un padrone. Il messaggio è chiaro per tutti. Questa destra non uscirà dal modello deformato della democrazia italiana in senso populista. E noi siamo alternativi al modello, non solo a Berlusconi. Noi vogliamo riformare la democrazia per rimetterla in condizione di decidere. È questo il terreno di incontro tra progressisti e moderati. È questa è la nostra proposta. Sta agli altri decidere».
Al prossimo incidente si va al voto, come dice Casini?
«Se c’è la possibilità di un passaggio con un governo autorevole, percepito così dal mondo, che affronti l’emergenza economica e consenta di fare una nuova legge elettorale, noi siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità. Se non è possibile questo, e effettivamente ora vedo minori spazi, si vada a votare».
È ipotizzabile che il Pd sacrifichi un alleato del centrosinistra pur di incassare il sì dell’Udc?
«Noi non escludiamo nessuno e lavoriamo per organizzare un centrosinistra credibile, dicendo però anche che abbiamo il diritto e il dovere di chiedere garanzie per la governabilità. Non su dei libroni, ma su quattro o cinque questioni delicate, a cominciare da politica internazionale, risanamento, lavoro. Dobbiamo capire se siamo d’accordo».
Come può escludere che in Parlamento si ripetano le divisioni dei tempi dell’Unione?
«Questa volta noi non ci staremo a ogni prezzo, questa volta va privilegiata la chiarezza e la serietà dell’operazione. E allora dovremo prevedere un meccanismo di garanzia, di stabilità della maggioranza parlamentare che ci impegni reciprocamente».
Pensa a un gruppo unico?
«Può anche esserci un patto tra gruppi diversi, purché si prevedano precisi vincoli di maggioranza».
Cosa risponde a Vendola e Di Pietro, che chiedono di svolgere le primarie per il candidato premier entro gennaio?
«Primo, che noi siamo il partito delle primarie e non possono tirarci per la giacca. Secondo, che scegliere una persona senza avere prima un programma e un’alleanza è un modello che non ci appartiene».
Lei parteciperà alle primarie?
«Io ci sono. Ma dico fin d’ora che non intendo nascondermi dietro un notaio, che non sarò il candidato del Pd perché lo dice lo Statuto. Un partito degno di questo nome, e noi lo siamo, fa una discussione e ha i meccanismi per decidere».
Farete le primarie del Pd prima di quelle di coalizione?
«Non è che possiamo fare due volte le primarie. Il partito ha i suoi organi interni e ha tutte le possibilità di prendere decisioni partecipate».
Pensa che dal convegno di Todi possa poi nascere un partito dei cattolici e che si candidi magari a guidare il centrodestra, come sostiene qualcuno?
«Mi pare un’idea con poco fondamento. E non capisco perché un simile partito dovrebbe essere collocato al centro, o addirittura nel centrodestra».
Non teme che diversi cattolici del Pd potrebbero essere tentati da altre offerte politiche?
«Guardiamo alla nostra offerta. Il Pd è un partito di credenti e non credenti che offre alle sensibilità religiose un’acuta attenzione al sociale e un umanesimo forte. Un partito che crede nella partecipazione, che chiede a tutti il riconoscimento del ruolo peculiare, di mediazione, della politica. E quindi un partito che tra credenti e non credenti si sente perfettamente a suo agio, nel perimetro segnato dalla Costituzione e dalla Gaudium et spes. Vogliamo avere una politica rispettosa del magistero della Chiesa, che deve intervenire nella discussione pubblica. E non tenteremo mai di arruolarla, come cercano di fare altri. Su singoli temi discuteremo. Ma questo è il nostro profilo».
L’Unità 16.10.11