Faceva certamente effetto vedere l´aula di Montecitorio per metà deserta: segnalava con la forza d´una immagine la spaccatura del Paese in due, che dura ormai con alterne vicende dal 1994 avendo raggiunto poi il suo culmine negli anni successivi al 2001. Sono dunque ben tre legislature durante le quali la maggioranza ha imposto la sua dittatura, le regole sono state aggirate o travolte, la questione morale è di nuovo tornata di drammatica attualità.
Ma di nuovo c´è una questione che in precedenza non c´era: negli ultimi tre anni l´intero pianeta e in particolare le nazioni opulente dell´Occidente sono stati devastati dalla più grave crisi economica degli ultimi cent´anni, più grave ancora di quella del ´29, mettendo in causa non solo i mercati ma il capitalismo nella sua natura democratica.
In queste condizioni l´intrinseca fragilità della democrazia italiana è purtroppo sbalzata in prima fila, tutte le nostre debolezze si sono accentuate, le nostre scarse virtù civiche hanno ceduto di fronte all´invasione del populismo, della demagogia, dell´indifferenza, dell´incompetenza, della corruzione.
Non è bastato neppure il “vincolo esterno” impostoci a un certo punto dall´Europa attraverso la sua Banca centrale. Un vincolo umiliante ma indispensabile e virtuoso di fronte alla pochezza politica del governo che tuttavia ha funzionato soltanto a metà a causa delle divisioni interne alla maggioranza e allo stesso governo e soprattutto del dominio che il lobbismo corporativo esercita sul gruppo dirigente del Pdl e sugli interessi che rappresenta, dei quali il “premier” è la più vistosa espressione.
Sì, faceva effetto quell´aula parlamentare disertata dalla metà dei suoi componenti, ma non poteva risolvere il problema che si è aperto mercoledì scorso con il voto di bocciatura dell´articolo 1 del disegno di legge sul Rendiconto generale dello Stato. Né lo potrà risolvere il voto di fiducia che oggi il governo chiederà al Senato e che certamente otterrà. Il problema resterà aperto, anzi si aggraverà ed ecco perché.
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Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella sua impeccabile vigilanza sul funzionamento degli organi costituzionali (così l´ha definito una volta tanto Berlusconi nel suo discorso di ieri e così lo definiamo anche noi fin da quando fu eletto al Quirinale cinque anni fa) ha fatto sentire per due volte la sua voce subito dopo “l´incidente” che ha bocciato il Rendiconto generale dello Stato.
In un primo comunicato ha chiesto al presidente del Consiglio di verificare in Parlamento se la maggioranza fosse ancora compatta e decisa a rinnovargli la fiducia e spiegasse in che modo intendeva rimediare alla bocciatura del Rendiconto generale; ma in un secondo “lancio” diffuso a distanza di poche ore ha ultimato al governo di lavorare con coerenza e rapidità alle misure di risanamento e di crescita senza le quali il Paese rischia di affondare nella tempesta della crisi.
Impeccabile certamente, non poteva dir meglio e tuttavia neppure in questo modo si risolve il problema. La fiducia oggi Berlusconi l´avrà, ma la navigazione successiva del governo nelle agitatissime acque della crisi non sarà diversa da quella che abbiamo visto dai primi d´agosto in poi: una prima manovra raffazzonata, una seconda dettata dalla Bce ma non adeguata per quanto riguarda la parte fondamentale destinata alla crescita; poi una terza perché non erano stati specificati alcuni punti essenziali relativi all´obiettivo di realizzare il pareggio di bilancio entro il 2013. Ora si attende la quarta manovra interamente destinata allo sviluppo. Mario Draghi l´altro ieri è stato impietoso in proposito, lamentando le gravi inadempienze del governo su questa materia. Tra quindici giorni se ne andrà a Francoforte e ancora non è stato nominato il suo successore anche se se ne parla da giugno.
Tutto dunque lascia prevedere che il governo e la sua maggioranza, balcanizzati in cricche e caciccati, non sapranno ottemperare alle richieste di Napolitano. Che cosa farà a quel punto il Presidente, di fronte ad un governo sempre meno credibile ma sempre sostenuto dalla fiducia del Parlamento?
La domanda è questa è non è di poco conto. Per misurare l´esistenza della fiducia parlamentare il Quirinale, come tutti noi, ha un termometro: i voti riscossi dal governo. Ma per misurarne la credibilità, l´operosità, l´efficienza, non esiste un termometro; esistono soltanto valutazioni e risultati. Le valutazioni sono soggettive e quindi differiscono tra loro, i risultati sono invece oggettivi anche se richiedono un tempo tecnico per esser raggiunti. Quelli che abbiamo per ora su questo governo equivalgono allo zero assoluto altrimenti non ci troveremmo in questo stato e peggio di tutti.
Anche la storia della nostra ricchezza privata che sarebbe secondo Berlusconi e Tremonti di gran lunga maggiore di quella della Francia e della Spagna e, sia pur di poco, perfino di quella della Germania, è una storia priva di qualunque significato come ha dimostrato cifre alla mano Romano Prodi in un articolo pubblicato domenica scorsa sul Messaggero. La nostra ricchezza privata mobilitabile ai fini dello sviluppo è di gran lunga inferiore a quella di tutte le altre nazioni europee.
Comunque fino a quando il governo avrà la fiducia del Parlamento il Quirinale non ha mezzi per rimuoverlo anche se credibilità, efficienza e capacità di dominare la crisi per la parte che ci riguarda sono ridotte allo zero.
Purtroppo dunque su questo tema i poteri del Quirinale non ci possono aiutare sicché è inutile farsi illusioni in proposito. So bene che alcuni tra più autorevoli costituzionalisti attribuiscono al Capo dello Stato il potere di sciogliere le Camere se ne constata la sostanziale paralisi. So molto bene che il decreto di scioglimento deve essere sempre controfirmato dal presidente del Consiglio e so altrettanto bene che, in caso di denegata controfirma, il problema passerebbe nelle mani della Corte costituzionale affinché decida sul conflitto di attribuzione. Ma sono anche certissimo che Napolitano non ricorrerà mai ad iniziative così azzardate. Credo che faccia bene a non farlo. Con una conseguenza però: se il Paese continua così andrà a fondo e tutti gli attori della partita ne saranno responsabili salvo le opposizioni, i media tanto vilipesi perché cercano la verità e il potere terzo della magistratura.
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Ma veniamo, per concludere, all´ormai famoso “incidente” sul Rendiconto generale e diciamo subito che non è affatto un incidente ma un fatto della massima importanza politica e costituzionale. Averne delegato la soluzione al governo e al Parlamento è corretto, ma altrettanto doverosamente corretto sarà di vigilare sulla sua soluzione la quale, nei termini in cui è stata prospettata dal “premier” è del tutto insostenibile e inaccettabile.
Il Rendiconto generale sull´amministrazione dello Stato è previsto nel primo comma dell´articolo 81 della Costituzione che fu scritto direttamente da Luigi Einaudi, allora membro autorevolissimo dell´Assemblea Costituente. Stabilisce che ogni anno il governo deve sottoporre all´approvazione delle Camere il Rendiconto generale, così come deve presentare ogni anno la legge di bilancio. Il Rendiconto altro non è che il consuntivo delle entrate e delle spese, la legge di bilancio (o finanziaria come un tempo si diceva) è il preventivo.
La legge n. 196 del 2009 parla anch´essa del Rendiconto (sebbene Berlusconi nel suo discorso di mercoledì l´abbia escluso) stabilendo che quel documento, proposto dal Tesoro e redatto dalla Ragioneria generale, sia trasmesso alla Corte dei Conti per la “parificazione”, un´indagine ulteriore sulla correttezza costituzionale delle “coperture” e poi, così vidimato dalla Corte, inviato al Parlamento il cui voto è un voto politico. Il Parlamento cioè è chiamato a dare un suo giudizio sul consuntivo della finanza pubblica. Il voto negativo significa che il Parlamento dà un giudizio negativo su come il governo ha gestito la finanza pubblica nel precedente esercizio.
Poiché il Parlamento rappresenta il popolo sovrano, quel giudizio negativo è espresso dai delegati del popolo sovrano. E non sarà certo l´attuale governo e il suo “premier” a dissentire su questo punto, visto che il loro potere attuale è continuamente riportato al popolo sovrano e ai suoi delegati.
Dunque: il popolo sovrano attraverso il voto dei suoi rappresentanti ha bocciato l´articolo 1 del Rendiconto generale. Che cosa dice quell´articolo? Eccolo: «Il Rendiconto generale dell´Amministrazione dello Stato e i rendiconti delle Amministrazioni e delle Aziende autonome per l´esercizio 2010 sono approvati nelle risultanze di cui ai seguenti articoli» seguono varie pagine di tabelle, redatte dalla Ragioneria, firmate dal ministro del Tesoro e parificate dalla Corte dei Conti.
Si ricava da tutto ciò senza ombra di dubbio che il voto della Camera è un voto politico che sfiducia il consuntivo del 2010. E poiché la legge finanziaria del 2010 fu redatta dallo stesso ministro e dallo stesso governo di oggi, sono essi ad essere stati sfiduciati. E poiché infine uno dei principi della democrazia parlamentare consiste nel fatto che i ministri e i governi sono giudicati dal consuntivo delle loro azioni, questa è la sfiducia legittimamente votata dalla Camera dei deputati.
Berlusconi vorrebbe ripresentare il Rendiconto cambiandone l´articolo 1. E come può cambiarlo? L´ho citato nella sua letteralità: bocciare quell´articolo ha significato la bocciatura dell´intero provvedimento il quale, come dicono i regolamenti parlamentari, non può essere ripresentato se non dopo sei mesi, cosa che certamente non sfuggirà all´impeccabile vigilanza del Capo dello Stato.
Allora non c´è soluzione? Dobbiamo restare senza il consuntivo fino al prossimo aprile? E come si potrà costruire il preventivo senza avere certezze e approvazione del consuntivo? Una soluzione c´è: le dimissioni del governo. La fiducia di oggi è un sotterfugio perché la fiducia il governo l´ha già perduta l´altro ieri ed oggi si vota la fiducia ad un governo che l´ha già persa e potrebbe ritrovarla soltanto dopo aver rimesso le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato.
Questa è la procedura costituzionale e non mi pare che possa essere ignorata.
Post scriptum. Forse Emanuele Macaluso, che spesso mi dedica la sua acida attenzione sul Riformista opinerà diversamente da me. Ma con tutto il rispetto che gli è dovuto, la sua opinione è, come tutte le opinioni, puramente soggettiva.
La Repubblica 14.10.11