In un discorso vuoto come quello di ieri conta solo il sound-bite, il concetto che passa qua e là, ripetuto, e certifica delle vere intenzioni. Berlusconi oggi tenta banalmente il replay dell’operazione 14 dicembre: una fiducia guadagnata non sulla base di un rilancio politico e programmatico ma solo grazie a un rastrellamento di voti sotto la minaccia di elezioni anticipate che decimerebbero i suoi.
È probabile che l’operazione riesca. Oggi come dieci mesi fa è stata fatta terra bruciata intorno all’unica soluzione che restituirebbe all’Italia fiato e tempo per riprendersi.
La retorica dell’unico governo a investitura popolare ha ormai una valenza esclusivamente distruttiva: Berlusconi la usa come fuoco di sbarramento contro una transizione guidata da altri – magari provenienti dalla sua stessa maggioranza – e mente sapendo di mentire quando si attribuisce la forza politica necessaria a fare le riforme, o addirittura a prendere «le misure impopolari» che servono al paese.
Non ci saranno riforme, non ci saranno misure né popolari né impopolari. Ci sarà trascinamento, nell’illusione che intanto Bossi e Berlusconi possano rianimare i rispettivi partiti, sbandati e disperati.
A differenza del 14 dicembre, però, non è più vero che le opposizioni siano altrettanto sbandate e slabbrate. I radicali sono storia a sé: geneticamente proporzionalisti come sono, pensano che sopravvivenza e identità coincidano con lo smarcamento a ogni costo. Prendere o lasciare (stavolta forse si lascia).
Tutti gli altri si compattano quanto più Berlusconi chiude i giochi in casa propria. Se si voterà a marzo, ieri Berlusconi ha definito il perimetro della coalizione che lo stroncherà.
da Europa Quotidiano 14.10.11