«Io non faccio passi indietro e se mi votate la sfiducia rischiatela poltrona con il voto anticipato». Un prevedibile Berlusconi si ripresenta alla Camera e non incanta. E adesso teme la tenuta dei suoi e il rebus Quirinale. Plateali gli sbadigli di Umberto Bossi. Dodici, indimenticabili, uno al minuto. Per il resto, i 23 minuti che Berlusconi ha impiegato per mettere
in riga i suoi con un eloquente “se mi sfiduciate si vota e perdete la poltrona” non rimarranno scolpiti nella storia di Montecitorio. «Penosa prova di sbandamento» secondo Bersani il discorso di ieri del Cavaliere. Scontato il premier che non compie passi indietro perché i mercati strangolerebbero il Paese. Prevedibile il richiamo al sacrificio cui Silvio si costringe non per «potere» ma perché il suo governo non ha «alternative». Priva di sorprese l’accusa di sfascismo lanciata alla sinistra. Meno consueti, per la verità, gli apprezzamenti al Quirinale e l’applauso rivolto al Colle dagli scranni a destra dell’Aula (vuoti quelli dell’opposizione che ha scelto di non offrire platee al «vulnus costituzionale» inventato per dribblare la bocciatura del rendiconto dello Stato). Berlusconi ha tessuto, ieri, le lodi del Colle. «La vigilanza istituzionale
del Capo dello Stato è impeccabile – ha sottolineato – Sorveglia sul regolare svolgimento delle istituzioni e stimola i soggetti della politica senza fare politica».
Sviolinate per saltare a piè pari le imbarazzanti domande del Colle alle quali il premier vorrebbe rispondere con la prova di finta forzadi un voto di fiducia destinato asbriciolarsi il giorno dopo. Mentre Scajola e Scilipoti garantiscono che non ci saranno «pugnalate», per i
corridoi di Montecitorio scajoliani e responsabili annunciano la «guerriglia » per la prossima settimana, mentre i ministri scalpitano contro la legge di stabilità confezionata da Tremonti e la Prestigiacomo minaccia di non votare i «tagli ai ministeri » avallati dal premier. Una Babele.
«La questione che si pone è se la maggioranza sia in grado di operare con la costante coesione necessaria», aveva fatto sapere il Quirinale. «La nostra maggioranza è politicamente
coesa, al di là degli incidenti d’aula», pavoneggiava ieri il Cavaliere. Ma a Palazzo Grazioli sale la preoccupazione per i numeri. Si teme per il voto di oggi. La «trappola di una fiducia
risicata», infatti, non rientrerebbe nei parametri richiesti da Napolitano. Per questo motivo, il pomeriggio di ieri è stato scandito da trattative e riunioni. Berlusconi ha contattato i cosiddetti «malpancistì» uno ad uno e ha chiesto loro di riflettere «bene» sulle conseguenze di una crisi di governo.
DAL COLLE NESSUN COMMENTO
Dal Colle, invece, nessun commento. Un silenzio che parla da solo. Secondo la prassi, dopo il voto di fiducia, Berlusconi dovrebbe chiedere oggi udienza a Napolitano. Un incontro che, per la verità, avrebbe dovuto proporre subito dopo la bocciatura del rendiconto dello Stato.
Surreale, ieri, il clima alla Camera. La scenografia di cartapesta di una maggioranza compatta e plaudente dentro l’Aula e i mal di pancia sussurrati in Transatlantico e nel cortile di Montecitorio. Per non mostrare al Cavaliere lo spettacolo di una platea semivuota, il gruppo Pdl aveva cercato di «sparpagliare» i suoi deputati facendoli sedere sugli scranni vuoti della «sinistra» che – tranne la pattuglia radicale – aveva deciso di disertare. I boatos raccontano, però, di un deciso stop di Fini a Cicchitto. Maroni e Calderoli, da scolaretti impertinenti, sedevano ugualmente sui banchi dell’opposizione, ma i commessi della Camera li invitavano
a rientrare tra i leghisti. Anche Tremonti, accanto a Bossi sugli scranni del governo, applaudiva il premier che annunciava la «riforma fiscale» con l’espressione impacciata di chi l’ha fatta grossa. Martedì scorso «Giulio» era arrivato in ritardo e i colleghi di governo gli avevano gettato addosso la croce della sconfitta in Aula del Cavaliere. Peccato grave. «L’italia ce la farà, può rilanciarsi», assicura Berlusconi, che approfitta del passaggio del discorso sul federalismo per regalare a Bossi una carezza che suona come sveglia dopo l’ottavo sbadiglio in diretta tv. «C’è in questo Parlamento qualche persona di buon senso che può credere che un governo tecnico avrebbe più forza di governo democraticamente eletto?», chiede Silvio alla sua metà campo, l’unica presente in partita. «Il nostro dovere è mettere l’Italia a riparo dalla crisi economica – si risponde – Il governo tecnico mai si sottoporrebbe agli elettori». Niente passo indietro e niente elezioni, assicura il Cavaliere: «qui mi vedete e qui resto». Ma Verdini, l’uomo delle emergenze che garantisce Silvio più di Alfano,
vigila per neutralizzare i peones che sentono «puzza di bruciato» e minacciano di far mancare alla maggioranza quota 316. Se è vero che Berlusconi giura di voler andare avanti fino al 2013, infatti, l’intesa con Bossi per «la verifica a gennaio dell’azione di governo» suona – lo
chiarisce uno scajoliano – come «prova provata dell’intenzione di forzare sul voto in primavera». I trucchi di Silvio non incantano più la sua maggioranza. E Palazzo Grazioli si interroga sul «rebus Napolitano».
L’Unità 14.10.11
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“Il Cavaliere in ansia Quota 316 si allontana”, di Andrea Carugati
Vigilia agitata tra gli uomini del Cavaliere. Sulla carta i sì sono 319, ma risulta in bilico una decina di parlamentari Era dal 13 dicembre 2010 che non si viveva una vigilia di un voto di fiducia così agitata. Da quando si consumò, purtroppo invano, lo strappo di Fini dal Cavaliere, le fiducie sono sempre state relativamente tranquille. Dai 314 voti di dieci mesi fa la maggioranza si è allargata fino ai 317 del giugno scorso, in occasione del via libera al decreto Sviluppo. A fine settembre, per il salvataggio del ministro Saverio Romano, nuovo ribasso a 315. E oggi la sfida è tutta sui numeri. Berlusconi ha un disperato bisogno di arrivare almeno a 316: che sarebbe già una assai esile prova di forza, ma almeno consentirebbe di tirare a campare per qualche settimana. Sotto quell’asticella, il rischio di una crisi a breve è assai realistico. Anche perchè stavolta il Quirinale, dopo lo scivolone sul rendiconto di bilancio, chiede una «prova di credibilità».
Sulla carta il Cavaliere dispone di 319 voti.Ma è un conto assai virtuale, come testimonia il clima di ieri: vertici, capannelli, fibrillazioni, telefonate dirette a una serie di peones, soprattutto scajoliani, che potrebbero decidere di non votare. Pressing cui ha
partecipato lo stesso Berlusconi. «Assenti disertori», è il nickname con cui li hanno battezzati ai piani alti del Pdl. Onorevoli che, alla fine, potrebbero decidere un sofferto sì, ma che hanno deciso di restare in bilico fino all’ultimo. Probabilmente in accordo con Scajola, che assicura il suo sì ma vuole tenere il premier sulla graticola, dunque sotto quota 316. I più inquieti sono Giustina Destro, ex sindaco di Padova, e Fabio Gava, che ieri sera faceva sapere: «Ci penserò su tutta la notte…». A loro si uniscono anche Roberto Antonione, Paolo Russo e Pietro Testoni. E poi i responsabili Miro, Grassano e Sardelli, che ieri al Corriere ha confessato. «Io posso pure votare, ma la maggioranza è ormai frantumata e ogni giorno può essere quello fatale». Ai 319 vanno tolte le assenze quasi certe dei malati Filippo Ascierto e Pietro Franzoso, per i quali è stato ipotizzato persino un trasporto in elicottero. In bilico anche Gerardo Soglia, dato in uscita dal Pdl verso Fli: un segnale, visto che negli ultimi mesi
il “flusso” era andato solo nella direzione opposta. Soglia potrebbe non votare, mentre un ex finiano come Luca Barbareschi ha fatto sapere che dirà sì, nonostante la bocciatura della sua fiction da parte del Cda Rai (per colpa del tremontiano Petroni). Si mormora, ma sono sicuramente gossip infondati, che il Cavaliere in persona avrebbe promesso all’attore un rapido
dietrofront di viale Mazzini o, in alternativa, un passaggio sulle reti Mediaset. Fa muro invece lo stilista Santo Versace: uscito dal Pdl, conferma il suo no, nonostante il pressing di ieri del coordinatore Pdl Verdini, che lo ha avvicinato suadente alla fontanella di Montecitorio. Sembrano rientrati i malumori degli ex Pdl legati a Gianfranco Miccichè, 9 deputati che
hanno dato vita al gruppetto «Grande Sud». Ieri dopo l’intervento del premier alla Camera gli umori erano pessimi: «Avete visto? Ha parlato solo di quello che interessa ai leghisti». Ma il capo li ha frenati: «Se cade bene, ma non possiamo essere noi…». I conti sono
fatti: bastano 4-5 assenti disertori per portare il Cavaliere pericolosamente sotto quota 316. Le opposizioni restano inchiodate intorno a 306: troppo lontano per poter sperare.
L’Unità 14.10.11