Gli interventi realizzati nella scorsa estate avviano la finanza pubblica italiana lungo un sentiero di maggiore sostenibilità. Ma ciò non basta. Senza aggredire alla radice il problema della crescita lo stesso risanamento della finanza pubblica è a repentaglio. Abbiamo più volte indicato gli interventi necessari in ambiti essenziali per la crescita come la giustizia civile, il sistema formativo, la concorrenza, soprattutto nel settore dei servizi e delle professioni, le infrastrutture, la spesa pubblica, il mercato del lavoro, il sistema di protezione sociale. L’obiettivo di rilanciare la crescita è finalmente oggi largamente condiviso, ma l’adozione delle misure necessarie si è finora scontrata con difficoltà apparentemente insormontabili.
Eppure, sia la storia sia gli elementi positivi che oggi pur si colgono nel
Paese mostrano che esso non è al di sopra delle nostre possibilità. Nel 1950
pochi osservatori avrebbero scommesso che nel giro di un paio di decenni
l’Italia sarebbe diventata una economia industriale europea. Il Paese dimostrò
allora una straordinaria capacita di adattare le tecnologie importate alle
condizioni del Paese, di utilizzare per la moderna industria l’inventiva e la
flessibilità dell’artigiano e del piccolo imprenditore. Il distretto
industriale e una impresa pubblica per anni fucina di manager e di innovazione
attrassero in modi diversi l’attenzione del mondo. Fu l’unica volta dopo
l’Unità che per un lungo periodo il Mezzogiorno crebbe più dell’intero Paese:
dal 1951 al 1973 il rapporto fra prodotto pro capite a prezzi correnti del Sud
e prodotto nazionale pro capite salì dal 63 al 70%.
Possiamo pensare che un sistema sociale, un’imprenditoria, una manodopera che
furono i protagonisti della lunga fase di crescita impetuosa e poi ancora
attraverso i difficilissimi anni Settanta e i cambiamenti del contesto esterno
nel decennio successivo abbiano consumata tutta la loro forza? Il Paese è
ancora ricco di imprese di successo, anche in comparti chiave come la robotica
e la meccanica; non mancano nella società indicazioni di una vitalità
tutt’altro che spenta. Le capacità di progresso del Mezzogiorno sono
testimoniate da diversi casi che indicano come si possano superare arretratezze
e valorizzare i potenziali dell’area. Ne è un esempio il recupero urbano di
Matera e di altri centri storici del Mezzogiorno che hanno saputo acquisire
nuova vitalità ambientale e culturale. In Sicilia, Puglia, Campania non mancano
esperienze positive nei comparti dell’elettronica, delle fonti rinnovabili,
della meccatronica, della componentistica.
Nel Paese non mancano dunque vitalità e voglia di crescere, anche se non
sufficienti a imprimere forza alla crescita. Perché è tanto difficile
realizzare interventi in grado di invertire il trend negativo degli ultimi
anni?
È importante che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio
dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani. Una nostra
tentazione atavica, ricordata da Alessandro Manzoni, è di attendere che un
esercito d’Oltralpe risolva i nostri problemi. Come in altri momenti della
nostra storia, oggi non è così. È importante che tutti i cittadini ne siano
consapevoli. Sarebbe una tragica illusione pensare che interventi risolutori
possano giungere da fuori. Spettano a noi. Per due ragioni. La prima è che il
risanamento della finanza pubblica e il rilancio della crescita non sono una
imposizione esterna, sono problemi che vanno risolti soprattutto a beneficio
dell’Italia. È un dovere verso i giovani e verso noi stessi. La seconda ragione
è che la cooperazione europea, mai come oggi indispensabile, si basa
giustamente sull’assunto che ciascun membro faccia la propria parte. Solo i
Paesi che si assumono le proprie responsabilità – quelle dell’Italia sono oggi
particolarmente rilevanti – e che mantengono con rigore gli impegni presi sono
partner credibili, a maggior ragione nella fase di ulteriore integrazione e
condivisione di doveri che si prospetta per l’Unione Europea.
Occorre agire con rapidità. È stato già perso troppo tempo. Aumenti dei tassi
di interesse della dimensione di quelli verificatisi negli ultimi tre mesi, se
protratti, avrebbero l’effetto di vanificare in non piccola parte le misure
approvate con i decreti legge convertiti in settembre, con un ulteriore
possibile effetto negativo sul costo del debito, in una spirale che potrebbe
risultare ingovernabile. È necessario che i decreti attuativi siano promulgati
senza indugio, soprattutto quelli con riferimento alla riduzione permanente
della spesa corrente. Quanto alla crescita, l’urgenza deriva non solo dagli
effetti positivi che ne scaturirebbero sulla finanza pubblica, ma soprattutto
dal dovere non più eludibile che abbiamo nei confronti dei giovani, un quarto
dei quali senza lavoro.
L’Italia deve oggi saper ritrovare quella condivisione di valori comuni che,
messi in sordina gli interessi di fazione, è essenziale per mobilitare le
energie capaci di realizzare in anni non lontani, una rigogliosa crescita
economica e di offrire credibili speranze alle nuove generazioni.
Mario Draghi è il Governatore della Banca d’Italia
L’articolo è uno stralcio del discorso di ieri al Convegno per le elebrazioni
del 150° dell’Unità d’Italia
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