La liturgia della crisi ha compiuto un altro importante passo, ma non è detto che sia arrivata all’ultimo. E’ possibile che il nuovo ricorso di Berlusconi al voto di fiducia, col voto palese della Camera, consenta domani il prolungamento di un’agonia che ormai contrasta, in maniera insopportabile, con l’urgente necessità di una forte guida del Paese. Un governo che aiuti l’Italia a superare uno dei momenti più difficili della sua storia repubblicana. Capace di imporre decisioni certamente impopolari, ma che abbia la credibilità e l’autorevolezza di farle accettare, sia dalle autorità finanziarie europee, sia dai mercati internazionali.
Certo, i due comunicati con i quali il Presidente della Repubblica ha espresso la sua grave preoccupazione per le conseguenze della bocciatura sul rendiconto del bilancio dello Stato impediscono, da un lato, scappatoie tecnico-procedurali e, dall’altro, costringono tutti ad assumersi responsabilità politiche finalmente chiare. Napolitano, infatti, col primo, ha chiesto al governo di non limitarsi a esibire una maggioranza numerica alla Camera, ma a dimostrare di essere in grado di fornire «risposte credibili» alle esigenze del Paese.
Col secondo, ha ricordato che spetta all’esecutivo riuscire a individuare una soluzione, corretta giuridicamente e politicamente accettabile, rispetto al voto sul consuntivo di bilancio e spetta al Parlamento il giudizio sulla ammissibilità di tale soluzione.
Con questa specie di ultimatum istituzionale, il capo dello Stato, insomma, vuol mettere fine a quel triste e meschino balletto di vera e propria viltà politica che, in questi mesi, sta sfaldando il governo, ma anche il Parlamento, e che riguarda un po’ tutti. A partire da un presidente del Consiglio che non si rende conto di non poter più contare su una maggioranza tale da consentirgli di assumere quelle decisioni che sarebbero indispensabili per affrontare la crisi. Per proseguire con deputati che, quando costretti dal voto palese, non rinnegano la loro fiducia a Berlusconi. Ma, appena possono farlo senza assumersi pubblicamente la responsabilità di provocare la caduta del governo, colgono tutte le occasioni, anche le più importanti, per manifestare il loro dissenso e il loro malcontento. Per finire con un’opposizione che, divisa tra la volontà di andare subito a nuove elezioni e quella di aiutare la formazione di un nuovo esecutivo, «tecnico» o di «decantazione» come è più di moda definirlo adesso, non offre all’opinione pubblica un accordo, concreto e praticabile, né di politica economica, né di riforma elettorale.
Vedremo se, in questi giorni cruciali per affrontare una situazione finanziaria che, come ha ricordato il governatore uscente della Banca europea, Jean-Claude Trichet, si è aggravata drammaticamente, l’appello all’assunzione di responsabilità lanciato da Napolitano avrà ottenuto l’effetto di far uscire un po’ tutta la nostra classe politica dall’opportunismo più miserevole. Quello che si occupa, per esempio, solo del calcolo, peraltro molto imprevedibile, sulla posizione più favorevole per ottenere un posto alle Camere anche nella prossima legislatura. Ma il governo, se anche questa volta dovesse trovare la fiducia a voto palese, sarà comunque costretto a dare la vera risposta a Napolitano entro la fine del mese. Quando dovrà presentare, infatti, le misure per lo sviluppo dell’economia.
Sarà questa la prova di poter ancora pretendere di governare il Paese. Ma non sarà facile, perché Berlusconi dovrà scegliere tra due alternative altrettanto scomode. O sconfessare Tremonti, e Bossi che sostiene a spada tratta il ministro dell’Economia, trovando le risorse necessarie, con il condono fiscale ed edilizio o con la patrimoniale, e magari con tutti e due. Una soluzione che rischia contraccolpi drammatici sui mercati finanziari, per le obbligate dimissioni di Tremonti e il probabilissimo distacco della Lega dalla maggioranza. O varare provvedimenti «a costo zero», come vuole il suo più autorevole ministro, ma con effetti pratici così ridotti sulla situazione dell’economia nel nostro Paese da perdere qualunque residua credibilità nei confronti sia dei cittadini italiani, sia della comunità politica e finanziaria europea.
Tra tante incertezze e tante preoccupazioni, i prossimi giorni daranno a tutti noi almeno una consolazione: quella di vedere protagonisti e comprimari della nostra scena politica essere costretti a gettare la maschera delle ambiguità. Magari lo spettacolo non sarà edificante, ma, di questi tempi, bisogna sapersi accontentare.
La Stampa 13.10.11