«Ma Maroni che fa, cosa aspetta a prendere il partito?». Il giorno dopo l’impossibile, la contestazione aperta a Umberto Bossi nella sua Varese, gli animi della base leghista sono tutt’altro che rasserenati. Troncare, sopire è la manzoniana parola d’ordine. Radio Padania l’ha presa alla lettera e da due giorni chiude i microfoni in faccia ai militanti che vogliono discutere soltanto dello strano caso di Maurilio Canton.
L’unico politico del mondo a essere elettoa una carica, segretario provinciale della Lega a Varese, senza nemmeno prendere la parola durante il congresso, per paura di contestazioni. La scusa dei minzolini in salsa verde è imbarazzata e imbarazzante: «Qui si discute di politica nazionale e non di beghe di provincia».
A parte che la provincia sarebbe Varese, la culla del movimento, che cosa c’è di più importante da discutere dei fischi al Senatur? Nella storia della Lega tre sono le date decisive, dicono gli esperti. Il 12 aprile 1984, data di nascita davanti a un notaio di Varese. L’11 marzo 2004, il giorno dell’ictus di Umberto Bossi. E il 9 ottobre 2011, domenica scorsa, il giorno del parricidio. Da domenica è ufficiale che la Lega nonè più di Bossi. Il leader della Lega è di fatto ormai Roberto Maroni. Lo si capiva fin dall’ultima Pontida; applausi affettuosi al faticoso discorso di Bossi e ovazione per il ministro dell’Interno. In quattro mesi gli umori del prato leghista si sono tradotti in cifre impressionanti.
Se Maroni avesse deciso di presentare un proprio candidato a Varese, alternativo a Canton, avrebbe vinto con il 70 o addirittura l’80 per cento dei voti. Se si facessero le primarie nella Lega per la successionea Bossi, Maroni straccerebbe qualsiasi fedelissimo del Senatur, a cominciare naturalmente dal più probabile e tragico, Renzo il Trota. Infatti nella Lega non si vota, non si discute, non si tiene un congresso dal 2002. Si nomina e basta. «La Lega è diventato il partito più vecchio del Parlamento, non tanto per questioni anagrafiche, ma perché ormai agisce come i partiti della prima Repubblica», scrive nell’editoriale il “Varese News”, diventato rifugio del malcontento della base leghista dopo la censura di Radio Padania.
Ma allora perché Maroni aspetta, perché rinvia l’inevitabile scontro finale con il “Cerchio magico” che ormai gestisce e manovra l’autunno del patriarca leghista? «Il personaggio di Bruto non mi è mai piaciuto», spiega il ministro ai suoi, che scalpitano. Nel tentennare di Maroni c’entra di sicuro il groviglio di rapporti personali e anche affettivi con Bossi intessuto in decenni di vita in comune. I due hanno litigato mille volte senza mai rompere davvero. Alla vigilia delle elezioni del ’94 Bossi mandò Maroni a trattare col polo centrista di Martinazzoli, senza spiegargli che si trattava di pura tattica. «Poi gli ho detto, spostati Bobo, che sparo» ricorda Bossi, ancora oggi. Ma la versione di Maroni è un’altra: «Prima sparò e poi mi disse: spostati». Non ruppero neppure nel ’94, quando Maroni, convinto che metà del partito non avrebbe seguito Bossi nel ribaltone, ebbe il torto di dirglielo apertamente. L’Umberto quella volta s’infuriò davvero, per inciso con ragione, e arrivò a meditare l’espulsione di Bobo. Ma poi tutto si ricompose e oggi, paradossalmente, le parti si sono invertite. E’ Maroni a chiedere di staccare la spina al governo Berlusconi per poi andare al voto da soli, e Bossi a dire che non mollerà mai il Cavaliere. In teoria, si tratta di due strategie inconciliabili.
In politica, com’è noto, i sentimenti non sono tutto e neppure molto. C’è un altro motivo meno nobile per cui Maroni in questi due anni non si è deciso alla sfida per la leadership. Ed è la clamorosa sottovalutazione del potere che il “Cerchio magico” esercita su Bossi. Dopo la malattia, come molti uomini indeboliti, Bossi si è rifugiato nella protezione della moglie Manuela. Donna forte e intelligente, ma con un punto debole, il figlio Renzo, il celebre Trota. Ora la situazione è che il “cerchio magico” controlla Renzo, che condiziona il cuore di mamma Manuela, la quale a sua volta governa Bossi. Quindi in definitiva il “Cerchio magico”, ovvero la troika di formidabili carrieristi composta dalla pasionaria Rosi Mauro, dallo spregiudicato capogruppo parlamentare Marco Reguzzoni, dal pittoresco capo dei senatori Federico Bricolo, tutti e tre assai impopolari, dispone di Bossi come vuole e gli fa credere qualsiasi cosa. L’esempio più recente? Dopo i fatti di Varese, il Senatur se n’è uscito con un «ho visto dei fascisti in seconda e terza fila». Allora è scattata la caccia al fascio. Ci siamo presi tutti le foto della sala, analizzato una per una le foto della seconda e terza fila.
Alcuni sindaci leghisti Doc, un paio di ex democristiani, giovani militanti che all’epoca dell’Msi avranno avuto sì e no undici anni. Di «fascisti» neppure l’ombra.
Ma il misterioso accenno di Bossi si spiega col fatto che da mesi quelli del cerchio magico gli fanno credere che esiste un complotto di leghisti ex missini, guidato dal sindaco di Verona Tosi, per impadronirsi della Lega.
Quindi Bossi vede camicie nere ovunque.
Ora tutte queste storie Maroni e i suoi le conoscono e si fanno grandi risate. Nell’illusione che basti aspettare. Ma il Cerchio magico ha un piano preciso.
Andare al voto nella prossima primavera, alleati con Berlusconi, con il Porcellum elettorale e liste infarcite di «Canton», ovvero di carneadi fedelissimi. Invisi alla base? Pazienza. Tanto le preferenze non ci sono e i collegi neppure. Certo, la Lega in mano al Cerchio magico perderà valanghe di voti. Gli elettori sono stufi, perfino a Varese, di questo abbraccio mortale con il berlusconismo agonizzante.
Stanca di promesse mai mantenute. Il federalismo fiscale si è rivelato una pagliacciata, e pazienza. I comuni non hanno più un euro e rimpiangono i tempi della vituperata prima Repubblica, quando almeno c’erano i fondi per rifare le strade. Ma poi ci sono gli altri problemi enormi, rimossi dalla retorica bossiana. L’aeroporto di Malpensa, bandiera di tante rivendicazioni leghiste, è sull’orlo del fallimento, con gli hangar vuoti, dopo la fuga di Alitalia e Lufthansa. Le infrastrutture mille volte promesse al Veneto si sono fermate al delirante e inutile passante di Mestre, che ha raddoppiato gli ingorghi in uscita. Nelle filiali delle banche lombarde, dove una volta facevano la fila per ottenere finanziamenti all’impresa, ora ci sono le file per rinegoziare i debiti. La media impresa aspettava l’abolizione dell’Irap, non pervenuta. L’aeronautica d’eccellenza, il fiore all’occhiello dell’industria varesina coni gloriosi marchi Aermacchie Agusta, attende ancora che si realizzi il solenne giuramento di Berlusconi: «Sarò il vostro commesso viaggiatore nel mondo». Mentre Bossi riesuma lo spettro della secessione, mezza industria manifatturiera lombardae veneta ha già optato per l’annessione economica alla Germania, l’unica locomotiva ancora in marcia. Altri prendono la valigia e volano in Cina, pregando che le autorità cinesi abbiano dimenticato la fesserie dei dazi doganali. Che cosa diranno a tutti questi i nuovi burattinai della Lega? Aspettate che arriva il Trota?
La Repubblica 12.10.11