Romano Prodi scandisce i giudizi con la nettezza di chi è informato direttamente e da fonti privilegiate sui grandi fatti del mondo. Il consolato franco-tedesco in Europa: «Un disastro, perché spinge alla diffidenza gli altri paesi e umilia gli organismi comunitari». Il rinvio del vertice europeo? «Può essere un bene, perché meglio rinviare di una settimana e preparare un accordo forte piuttosto che partorire il solito vertice deludente». Il senso della partita che si sta giocando: «Dopo anni gli Stati Uniti, da qualche giorno hanno capito che se crolla l’euro, è un disastro per tutti». Chiamato in tutto il mondo per tenere conferenze e lezioni – ieri era Barcellona – commentatore della tv cinese, un insegnamento negli Stati Uniti, un incarico Onu, l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi si tiene aggiornato, anche se aspetta con un pizzico di curiosità il suo ritorno sulla tv nazionale, fissato per questa sera su «la 7»: «Sono passati 20 anni dalle lezioni di economia sulla Rai, ma sembra passato un secolo, oggi non sopportano più gli interventi lunghi. Vedremo come andrà, giudicheranno i telespettatori…».
Il rinvio di una settimana del vertice le pare un fatto fisiologico o nasconde una crisi decisionale che rischia di diventare patologica?
«Il rinvio mi rende speranzoso…».
Speranzoso?
«Bisogna chiedersi: come mai questi vertici hanno sempre deluso? Si alimentavano grandi speranze, ma poi se ne usciva puntualmente con un nulla di fatto, con un accordo “rimediato”, per dare qualcosa in pasto alla stampa. Quasi sempre decisioni minori, ritardate e insufficienti. Io spero che stavolta il rinvio sia il sintomo di un metodo diverso e cioè che si stiano macinando decisioni importanti e si stia riflettendo sulle questioni tecniche, affinando soluzioni durature».
Se ne deduce che sinora siamo ancora lontani…
«Ho cercato di capire e mi pare che non ci siano ancora segnali chiari e forti sui principali contenuti».
Detto in soldoni: quale è la partita storica che si sta giocando in queste settimane?
«In soldoni? C’è voluto molto tempo per capirlo, ma finalmente ci sono arrivati tutti: la fine dell’euro sarebbe un disastro non solo per l’Europa ma anche per il mondo. L’euro è un pilastro dell’economia mondiale».
Dietro il rinvio potrebbe esserci anche una ragione “globale”: dopo i recentissimi appelli di Obama all’Europa, Merkel e Sarkozy immaginano di presentarsi al prossimo G20 con qualcosa di concreto in mano?
«Proprio questo ho detto: attenzione che da qualche giorno c’è una grossa novità. La paura per il crollo dell’euro è condivisa anche fuori dal circuito europeo. In altre parole, gli americani non giocano più, come un tempo, all’”arrangiatevi”».
L’America in campo per salvare l’euro?
«E’ probabile che lo stesso Obama abbia premuto su francesi e tedeschi perché si rendano conto cosa può prodursi con lo sfaldamento del sistema monetario europeo. Ma questo interesse americano, lo ripeto, è un fatto veramente nuovo, mai accaduto prima. Le decisioni del vertice europeo che è stato rinviato non potranno non partire da questa novità e dovranno muoversi di conseguenza».
Lei nei mesi scorsi ha criticato la Merkel: i tedeschi a che punto sono?
«I tedeschi si stanno rendendo conto che l’euro li avvantaggia, però si sono spinti troppo avanti nella critica e nel seminare paura. E il loro rapporto con i francesi è sempre stato su questioni parziali, mai sul piano di un accordo generale e strategico. Ma ora tutti hanno capito che mandando a fondo la Grecia e l’euro, andiamo a fondo tutti».
Il consolato Merkel-Sarkozy fa da locomotiva o è deleterio?
«E’ un disastro perché spinge alla diffidenza gli altri paesi europei e umilia gli altri organismi europei. Direi che questo direttorio rappresenta uno degli errori più gravi degli ultimi anni».
Il rinvio di una settimana può aggravare la situazione della Grecia?
«No, per le notizie che si hanno, direi proprio di no. Anzi, mi auguro che dando tranquillità ai mercati, si dia anche tempo alla Grecia di poter conseguire obiettivi realistici. La Grecia sta facendo sul serio ed esagerando si rischia di uccidere la sua economia».
Nel rapporto col mondo finanziario perché sinora non si è mai chiuso un accordo forte?
«Le ondate di sfiducia sono state determinate non tanto dalle nuove regole per le banche – da Basilea3 in poi – che di per sé erano anche giuste. Il problema è che quelle regole si sono rivelate staccate da un contesto politico di solidarietà, finendo per creare tensione nei mercati creditizi e facendo precipitare la disponibilità di credito. Mi auguro che il prossimo vertice serva a creare le condizioni perché ci si torni a prestare denaro l’uno con l’altro, normalizzando i rapporti tra Stati e tra banche».
La Stampa 11.10.11
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“L’ultima scommessa dell’America”, di MAURIZIO MOLINARI
Barack Obama sostiene l’iniziativa francotedesca per restituire stabilità a Eurolandia perché la ritiene l’unica capace di portare ad un forte accordo al G20.
Dietro le telefonate della Casa Bianca al presidente francese Sarkozy, al premier britannico Cameron ed alla cancelliera tedesca Merkel c’è una convergenza di intenti su cosa fare e una questione di tempi da rispettare. La convergenza sta nella necessità di rafforzare il pacchetto di misure europee varate il 21 luglio scorso su due fronti: aggiungere un piano per la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e aumentare le dimensioni del fondo «European Financial Stability Facility» per far fronte a pericoli finanziari considerevolmente aumentati negli ultimi settanta giorni. Sull’urgenza di questa piattaforma c’è una convergenza anche più ampia, come la recente assemblea annuale del Fmi ha dimostrato, perché le maggiori economie emergenti, a cominciare dalla Cina, ritengono che l’Europa ha avuto bisogno di troppo tempo per ratificare gli impegni del 21 luglio e dunque devono essere rafforzati. E’ proprio questa convergenza fra Usa, anglofrancotedeschi e economie emergenti la piattaforma sulla quale Obama e Sarkozy puntano a guidare il G20 di Cannes verso un accordo globale a sostegno della zona-euro. Ma affinché ciò possa avvenire il fattore-tempo è decisivo: il summit del G20 inizia il 3 novembre e per quella data i 17 Paesi dell’euro dovranno aver concordato il piano di salvataggio per consentire agli altri partner di sostenerlo con interventi individuali e multilaterali. Ciò significa che l’Europa ha appena 22 giorni di tempo per adottare le nuove misure ed affinché ciò avvenga Obama non vede alternative all’iniziativa Sarkozy-Merkel, che ha ottenuto ieri il sostegno di Londra. La chiave dell’intesa con Obama sta dunque nell’impegno preso domenica per iscritto da Parigi e Berlino di «avere il piano pronto per la fine del mese», ovvero in tempo per recapitarlo a Cannes. Il timore della Casa Bianca è che, se i dissensi politici nell’Unione Europea dovessero ostacolare questo percorso a tappe accelerate, il G20 potrebbe finire per ratificare l’impossibilità di aiutare l’euro a scongiurare il peggio, con effetti negativi a pioggia sulla debole crescita americana, sulla quale continua a incombere l’incubo della recessione.
La Stampa 11.10.11