Avete presente la lampo? Due strisce di tessuto diverse munite di dentini che si ingranano per chiudere rapidamente una borsa o un vestito. E’ un’immagine cara alle promotrici delle pari opportunità nella politica. Lo chiamano zipper system.
Un uomo e una donna si alternano in liste plurinominali in modo da formare un’offerta politica in cui nessun sesso predomini sull’altro. Se ne discute in tutti i Paesi dell’Unione Europea e in molti si applica, o per legge, oppure perché è previsto dagli statuti interni dei partiti. Oggi per noi in Italia sorge un problema nuovo: la rilevanza dell’aggettivo plurinominale che accompagna inevitabilmente lo zipper system.
Un milione e duecentomila italiani (maschi e femmine) si sono appena entusiasticamente recati a firmare un referendum che ci farà tornare per una quota rilevante dei seggi (75%) al sistema uninominale. Se la Cassazione riconoscerà la validità delle firme, se la Corte Costituzionale riterrà legittimo il quesito, se il Parlamento non cambierà la legge, se non ci saranno le elezioni anticipate, avremo infine il nostro candidato unico di collegio. Ovviamente anche di un unico sesso in base al principio di non contraddizione.
Nel maggio 2003, su iniziativa dell’allora ministro delle pari opportunità Stefania Prestigiacomo, fu modificato l’articolo 51 della Costituzione: per la prima volta non ci si limitava a enunciare la parità fra uomo e donna nell’accesso alle cariche elettive, ma si prevedevano azioni concrete per attuarla. Prestigiacomo non riuscì a trasformare il principio in legge ordinaria perché l’aula, in un’ordalia maschilista, la mise in minoranza fra lazzi e goliardie. Tuttavia da quel momento l’orientamento della Corte Costituzionale è cambiato: non solo ha dichiarato legittime le quote di genere previste dalla Regione Valle d’Aosta, ma si è pronunciata a favore anche della legge regionale campana, assai più eccentrica rispetto alla tradizione giuridica italiana ed europea.
In Campania infatti l’elettore o l’elettrice possono esprimere due preferenze purché la seconda riguardi un candidato di genere diverso dalla prima: insomma, se voglio, posso votare un uomo e una donna. Sorprendentemente la Corte, con una sentenza del gennaio 2010, approva, ma chiarisce anche i limiti delle misure: non devono imporre nulla, non devono essere «coattive» verso i cittadini, ma solo offrire una scelta che riequilibri il peso fra i due sessi. Dunque un eventuale collegio binominale (un uomo e una donna da votare in un’unica offerta), che qualche giurista femminista propone, verrebbe quasi sicuramente bocciato.
Ma torniamo al nostro uninominale. Che problema c’è – si dirà: metà dei collegi agli uomini e metà alle donne. Ma soltanto chi non ha alcuna esperienza politica può crederci. Ci vogliono denti aguzzi da lupo della steppa per battersi in trattative di coalizione dove tutti sanno che i collegi sono di serie A, B e C come le squadre di calcio. Quelli di serie C sono di solito senza speranza e lì naturalmente le candidate sono sempre benvenute.
Eppure nella spinta del popolo del referendum c’è un nocciolo di verità sacrosanta anche dal punto di vista delle donne. Il Parlamento dei nominati e delle nominate, per mano di una classe dirigente priva di senso dello Stato, ha ridotto in coriandoli l’autorevolezza femminile nelle istituzioni: dall’epopea dell’emancipazione alla miseria della cooptazione sospetta o sospettabile.
In più per molto tempo, prima della nascita di «Se non ora quando», si è offuscata un’opinione pubblica femminile appassionata all’idea che la forza politica delle donne possa riformare stile e agenda politica. Per disincanto o per orgoglio molte avevano ripreso l’antica abitudine di tacere. Ma c’è ancora tempo per cambiare rotta in questi mesi e mettere la vela a un particolare incrocio di venti: quello che chiede più controllo e potere ai cittadini e quello che preme perché le donne – quelle capaci e appassionate – possano battersi ed essere scelte.
Nessun sistema è una garanzia a priori, nessuno una sconfitta sicura se in ogni luogo dove si media e si cerca la strada futura alcune donne che contano avranno a cuore le proprie simili. Non si tratta di «quote rosa», che ricordano i grembiulini a quadretti della scuola materna, ma di una battaglia da regine di spada. Dove sono le regine?