Ora che Putin si è tolto la maschera anticipando ai russi il risultato delle elezioni presidenziali di marzo, ha deciso di togliersela — ammesso che l’avesse — anche Berlusconi. Il viaggio in Russia del presidente del Consiglio non dovrebbe stupirci, tanto numerosi sono i suoi precedenti. Ma Silvio Berlusconi è riuscito nell’impresa: perché mentre l’agenda diplomatica del capo del governo italiano risulta paralizzata da un asserito «eccesso di impegni» (anche giudiziari, si deve forse intendere), il tempo viene trovato senza difficoltà per correre a festeggiare il compleanno dell’amico e prossimo zar Vladimir. Il tutto in una atmosfera tanto riservata da apparire quasi cospiratoria.
Intendiamoci, non saremo certo noi a sottovalutare la cruciale importanza dei nostri rapporti con la Russia. E Putin, scontati quei dissensi che ieri Sarkozy ha ben messo in evidenza, resta un leader da rispettare con il quale tutto l’Occidente dovrà fare i conti. Tanto meglio, allora, se con Putin Berlusconi ha inteso parlare di accordi economici, tanto meglio se gli ha chiesto ragione del veto con il quale Russia e Cina hanno bloccato all’Onu le sanzioni contro il regime massacratore di Assad. Ma pur non volendo indulgere a certi recentissimi furori antiberlusconiani, non riusciamo a credere che siano stati questi temi a riportare Berlusconi in terra russa. Piuttosto ci sembra di scorgere una confessione di stanchezza, una ricerca di evasione dalla realtà italiana resa più gradita dal sapere che ad accoglierlo ci sarà quel Putin che è stato l’unico leader mondiale ad elogiarlo pubblicamente nelle ultime settimane.
Potremmo persino capirlo, questo Berlusconi in carenza di ossigeno. Potremmo passar sopra a certi antichi sospetti dei nostri principali alleati, diventati peraltro molto più discreti d’un tempo. Ma quel che non può essere condonato a Berlusconi è che mentre Putin si merita un viaggio, il resto della politica estera italiana debba subire il suo disinteresse e le sue assenze. Dobbiamo proteggere i nostri cospicui interessi in Libia, ma Berlusconi non ci è andato lasciando campo libero a Sarkozy, a Cameron e a Erdogan. Dovremmo avere una parola da dire all’Onu sulla richiesta di Stato palestinese e sulla relativa linea europea, ma al Palazzo di Vetro Berlusconi non si è fatto vedere. Un vertice bilaterale con la Serbia è stato rinviato ripetutamente su richiesta italiana. Altri si apprestano a subire la stessa sorte. E c’è il timore fondato che al vertice europeo del 18 prossimo o al G20 del 4 novembre, dove andrà, Berlusconi possa replicare esibizioni vittimistiche antigiudici come quella non dimenticata e sommamente imbarazzante del G8 di Deauville.
Un simile comportamento, signor presidente del Consiglio, non danneggia soltanto la nostra politica estera. Contribuisce, anche, a ridurre quella credibilità di cui tanto abbiamo bisogno per sostenere l’euro e salvare l’Italia dalla sindrome greca. A meno che l’Italia non stia per entrare nell’area rublo.
Il Corriere della Sera