Le proteste contro un futuro che promette disoccupazione e quindi mancanza di redditi per creare una famiglia, per disporre di un´abitazione, per fare progetti di studio e di iniziative che offrano prospettive di avanzamento, diventano sempre più spesso delle “rivolte non-violente”, una nuova forma di protesta di massa dei giovani riuniti nelle piazze contro l´impotenza della politica scavalcata o sottomessa dal capitale globale. E la generale sfiducia nei partiti può tradursi, di riflesso, anche nella convinzione della inutilità del voto quale strumento di partecipazione collettiva alle decisioni di chi governa e di chi guida l´economia. Secondo le ultime proiezioni i non-votanti italiani supereranno il trenta per cento, costituendo il futuro maggiore partito del nostro Paese.
Questo nuovo fenomeno della protesta che diventa rivolta di massa non-violenta si sta diffondendo nel mondo del capitalismo maturo dal Sud-est asiatico all´Europa, fino a raggiungere Wall Street, passando da Nuova Delhi a Madrid, da Tel Aviv a Roma e a New York, con i cortei e le manifestazioni degli “indignati” per la corruzione, l´impotenza delle democrazie e le colpe dell´alta finanza.
Da noi quella protesta di massa è stata delle donne (“Se non ora quando?”) e degli studenti contro la legge sui tagli all´istruzione pubblica. Ma sarebbe l´ora che l´indignazione per le malefatte del nostro governo e il disgusto per gli ignobili comportamenti del suo capo si tramutassero ora in rivolte non-violente di massa anche di quanti stanno perdendo il loro lavoro o la speranza di trovarne uno, e saranno per di più impoveriti da una manovra finanziaria che risparmia solo i ricchi e gli evasori.
Occorrerebbe allora che la nostra “sinistra”, invece di implorare inutilmente un “passo indietro” di altri, si decidesse a fare essa stessa un “passo avanti” muovendosi nel solco delle nuove forme di protesta. E quindi collaborando a suscitare nelle centinaia di migliaia di indignati nostrani – compresi magari quelli che hanno votato per la Lega e il Pdl – la volontà di radunarsi nelle piazze per mostrare al mondo che oltre alla Confindustria e alla Chiesa di Roma c´è una vasta opinione pubblica che chiede la fine dell´ignominia berlusconiana.
È urgente farlo perché la rivolta non-violenta, oltre un certo punto, può tramutarsi come a Londra in tumulto facinoroso e barricadiero, con somma gioia della destra pronta a opporgli una dura reazione delle forze dell´ordine e severe sanzioni giudiziarie. Sarebbe un´altra pesante sconfitta della democrazia che, insieme ai rivoltosi, finirebbe anch´essa imprigionata dall´ingiustizia che non ha saputo combattere, dallo squallore di miserabili periferie che non ha voluto scongiurare, dalla corruzione privata e pubblica che non ha contrastato e che porta gli scontenti a rinunciare al diritto di voto.
A questo punto i politici devono rendersi conto di almeno due cose. La prima è che la crisi più devastante che sconvolge i nostri Paesi è questa sfiducia nella democrazia rappresentativa del capitalismo, perché ne corrode l´anima più avanzata. Quella che aveva saputo affiancare gli anticorpi della solidarietà e della compassione sociale alla logica del profitto e al cinismo del potere. La seconda è che ormai l´invenzione di una democrazia alimentata da nuove idee, da nuovi progetti, da nuove regole di partecipazione, non può più spettare a degli eletti con procedure sempre più lontane dalla volontà e dai bisogni dei cittadini.
Se quell´invenzione germoglierà, questo avverrà sempre meno per il carisma personale o il talento politico di singoli personaggi ricchi e potenti, e invece sempre di più per la saggezza collettiva di cittadini che, spinti nelle piazze dai loro bisogni manifestati e condivisi «in rete», nei social network, dovranno prima deliberare come soddisfarli e da chi farsi guidare, e solo dopo andare a votare.
Questa, possiamo augurarci, sarà la democrazia del futuro, ben diversa dalla dittatura di maggioranze servili e di piccoli cortigiani, “vil razza dannata” come li chiamava il Rigoletto, che corrompono la politica inchinandosi al potere del denaro.
La Repubblica 07.10.11