Maria Cinquepalmi, di 14 anni, uscita un’ora prima da scuola e vittima, dunque, di una sciagurata fatalità, e Matilde Doronzo, 32 anni, Giovanna Sardaro, 30 anni, Antonella Zaza, 36 anni, Tina Ceci, 37 anni, donne morte per meno di 4 euro all’ora, vittime della spirale al ribasso della competizione globale. Pronunciamoli a voce alta i loro nomi perché non li troveremo mai nelle rivendicazioni di chi esce da Confindustria per protesta o nelle lettere della Bce, sono i nomi di quelle persone che non si potranno mai permettere di acquistare pagine di giornali per urlare il proprio «sdegno». Ma sono nomi di quelle persone per le quali l’intera collettività, politica e sociale, dovrebbe reagire con rigore pretendendo che tali sciagure non si ripetano. Mai più. Sono i nomi di lavoratrici che, così come tutte le 12 dipendenti di quel laboratorio e milioni ancora di altre operaie in Bangladesh, Thailandia, India, Cina, Nord Africa, Centro America e ancora altri miliardi di lavoratrici e lavoratori in tutto il mondo, sono costrette ogni giorno letteralmente ad ammazzarsi di fatica otto, dodici ore e spesso anche più, per quattro soldi e senza diritti, per sopravvivere, per affrontare le primarie necessità di vita e provare ad offrire un futuro migliore ai propri figli. Maria, Matilde, Giovanna, Antonella e Tina, sono allora vittime della distrazione di troppi, perché troppi sono coloro che continuano a guardare il dito mentre la luna si sta drammaticamente spegnendo. E il risultato, che grida vergogna, è che pagano sempre e ancora i più bisognosi. Proprio per questo le tragedie sui luoghi di lavoro sono un drammatico ed eloquente indicatore di diseguaglianza sociale che il silenzio e l’inazione delle istituzioni non possono consentire. E allora perseguiamole fino in fondo le responsabilità della loro morte,ma tutte le responsabilità. Da chi poteva e doveva impedire
che quella palazzina crollasse, a chi poteva e doveva impedire che un laboratorio operasse in quel sottoscala, a chi poteva e doveva impedire che quelle donne lavorassero sottopagate, senza diritti e senza sicurezza in quel laboratorio. Ma accertiamo anche le responsabilità di chi quel sottolavoro lo commissiona, per portare poi il prodotto del «façonismo» da sottoscala nelle vie del lusso, magari nascondendosi dietro la maschera di un ipocrita codice di condotta cinicamente redatto come esercizio di pubbliche relazioni e conveniente pubblicità-mercato. Ed accertiamo e perseguiamo anche le responsabilità di chi ha costruito e continua ad alimentare un mondo in cui la quantità di attivi finanziari, prodotta tanto sui mercati ufficiali quanto in quelli «da sportello
», moltiplica di svariate volte l’intero Pil mondiale. Un mondo in cui la ricchezza non viene determinata dalla
quantità e qualità del lavoro, ma dalla capacità di cavalcare le impressionanti onde dei flussi di denaro virtuale che viaggiano su canali esclusivamente informatici. Una valanga di bit finanziari che lunedì si è abbattuta su Maria, Matilde, Giovanna, Antonella e Tina.
È improrogabile l’avvio di un’indagine conoscitiva parlamentare sul contoterzismo nel nostro Paese, poiché vi è la necessità di monitorare tutta la catena del «valore». È compito, dunque, delle Istituzioni tutte e della comunità quello di affermare, in questo paese, una cultura della legalità che deve inderogabilmente interessare tutti i livelli della produzione, dalle piccole fabbriche sino alle vetrine dei più lussuosi negozi.
L’Unità 06.10.11