L´illusione tecnocratica, l´assalto ai governanti “tutti ladri e corrotti”: analisi di un fenomeno che da decenni attraversa la storia della Repubblica. L´indignazione non è contro un sistema da abbattere ma contro un ceto che ha deluso e che viene rifiutato con la stessa energia con cui lo si era amato. C´è già chi si prepara a sfruttare ancora una volta, dopo la prima nel 1994, la stanchezza dei cittadini per costruirci sopra una nuova carriera. Antipolitica è molte cose. È la disperazione di Adelchi morente: «non resta che far torto o patirlo. Una feroce forza il mondo possiede». La politica ha in sé, per sempre, lo stigma del peccato, della violenza che si replica nei secoli. Antipolitica è essere persuasi che la politica è l´Inferno in terra. Antipolitica è anche l´ostinazione di Antigone a uscire dall´implacabile logica amico/nemico che il re Creonte codifica nelle sue leggi: chi ha combattuto contro la città va messo al bando dall´umanità, anche da morto; va escluso dalla sepoltura. Ma un´uscita verso una comunità d´amore e non d´odio – quell´uscita che Antigone desidera – non può avvenire sulla terra: solo nell´Ade c´è spazio per la pietà. Antipolitica è poi quella di Julien Benda che difende la purezza disinteressata del sapere dalla commistione con la politica. Ed è anche lo sforzo di Thomas Mann di sfuggire alla forza d´attrazione gravitazionale che si sprigiona dal semplice sapere che la politica esiste, e che è la dimensione della nostra finitezza.
Questa antipolitica “di rinuncia” (tragica oppure profetica: dopo tutto anche il Sermone della Montagna è antipolitico) è una critica della politica così radicale che, paradossalmente, la conferma nei suoi tratti più crudi – quelli stessi evidenziati dai “realisti” più spietati –, proprio perché vede nella politica solo violenza e dominio. Una posizione che rinuncia ad agire, rivolgendosi all´aldilà o ipotizzando un mondo radicalmente diverso da questo; e che deve accettare di pagare con la morte e con la sconfitta – sempre – ogni tentativo di modificare la politica e le sue bronzee leggi.
Ma antipolitica può anche essere, al contrario, l´atteggiamento rivoluzionario di chi vede in un sistema politico un ostacolo da rimuovere integralmente, per instaurare un nuovo ordine di cose. L´originaria aspirazione del marxismo era portare l´umanità, attraverso il proletariato, a superare del tutto la politica: che è falsa e mistificante perché rispecchia e codifica l´alienazione che si genera nei rapporti di produzione capitalistici. Ma non si può certo affermare che questa fosse una fuga dalla politica: anzi, ha generato una potenza politica enorme, un anelito alla palingenesi che ha segnato più d´un secolo di storia mondiale.
Ci sono poi altre forme di antipolitica. C´è la tecnocrazia, ovvero la convinzione – maturata nel positivismo ottocentesco, e nelle pratiche manageriali novecentesche – che la politica sia un modo primitivo di regolare la coesistenza degli uomini. Quanto più la scienza e la tecnica progrediscono, tanto più emergono problemi oggettivi, né di destra né di sinistra, che richiedono, per essere risolti, non politica ma competenza, non conflitti ma decisioni efficaci, nate da un sapere specialistico, interno alle cose. È cronaca di oggi, ma è anche storia: la storia dell´illusione novecentesca della pianificazione, l´utopia dell´automazione. Ed è anche la ricorrente tentazione di non volere vedere che quanto più la società è complessa tanto più è intrinsecamente politica; che non esistono soluzioni ‘tecniche´ ai problemi politici, che la pretesa di oggettività è sempre veicolo di potere: che chi pianifica – chiunque sia – fa politica, non tecnica.
Se questa antipolitica vuole cacciare i politici perché incompetenti, per sostituirli con tecnici, un´altra, analoga a questa, li vuole cacciare perché ladri e corrotti. Ma l´antipolitica ‘di protesta´, dell´indignazione, dell´onestà e della legalità, per giustificata che sia (del resto, anche quella della competenza lo è: pensiamo ai tunnel per i neutrini), non va al di là della rabbia contro la Casta, del lancio di monetine, dello sventolio di cappi. In ogni caso, questa antipolitica è rivolta non contro la politica in quanto tale né contro un sistema da abbattere con la rivoluzione, ma contro un ceto politico che ha deluso le aspettative – che viene rifiutato con la stessa feroce energia con cui lo si era amato; che viene respinto come corrotto tanto quanto da esso ci si era lasciati corrompere – . Ed è quindi, con ogni evidenza, essa stessa una politica, che non sa di esserlo, o non vuole ammetterlo.
Il rischio a cui va incontro è che risulti passiva e inefficace, che sia una valvola di sfogo per i cittadini, che si sottraggono alle proprie responsabilità e le scaricano sulla classe politica, divenuta il capro espiatorio universale. È questo rischio che rende questa antipolitica manovrabile da chi ne sa cogliere l´ingenuità credulona, cioè dall´imprenditore politico populista, che sfrutta il qualunquismo e l´indignazione per sostituirsi ai vecchi politici, e finge che tutto cambi perché tutto resti com´è (o peggiori radicalmente).
Non a caso, c´è già chi (il solito Cavaliere) si prepara a sfruttare ancora una volta – dopo la prima, nel 1994 – la stanchezza dei cittadini per l´indecenza, l´inettitudine, la corruzione, dei politici, e a costruirci sopra una nuova carriera politica. E ci si dovrà veramente dichiarare “antipolitici” se questa operazione di ri-verginazione avrà successo: se cioè Berlusconi, con un “partito dell´antipolitica” (un ossimoro che si smaschera da sé), riuscirà a convincere gli italiani che è un uomo nuovo, non toccato da scandali, competente, non contaminato dalla politica. Se cioè, invece di venire escluso, saprà ancora includere gli italiani nel suo populismo affabulatorio – tanto più politico quanto più antipolitico –.
La Repubblica 06.10.11
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“La malattia qualunquista”, di NELLO AJELLO
La denunzia è tagliente. In Italia le consultazioni popolari vengono manovrate dall´alto, ad opera delle «direzioni dei partiti, che ne governano i rappresentanti, allontanando nella rielezione coloro che hanno dato segno d´indipendenza». A rivelarlo non è un fustigatore dei metodi che hanno aperto a Scilipoti le porte del potere. L´autore di quella requisitoria è, quanto ad anagrafe, meno fresco di così.
Si chiama Benedetto Croce, e il sistema di cui parla risale ai primi del secolo scorso. Altrettanto drastico era, negli stessi anni, Piero Gobetti: eccolo lamentarsi del fatto che, che «nella palestra del collegio uninominale», si va «addestrando all´intrigo una classe dirigente abile nel mercato dei voti».
Non è ancora l´”antipolitica”, ma se ne scorgono moventi o pretesti. Già da tempo, D´Annunzio ha tuonato: «Per servire alla stabilità di Depretis e all´eloquenza di Cavallotti in Italia si vendono i voti». Modico stupore. Gli annali della storia d´Italia traboccano, infatti, dei trucchi e dei brogli connessi alla scelta dei “patres conscripti” sia civili che religiosi. A partire da ciò che ai suoi tempi Guicciardini riferiva su Rodrigo Borgia, candidato alla fine del 1400 al seggio di san Pietro e poi eletto con il nome di Alessandro VI, il quale «comperò, parte con denari parte con la promessa degli uffici o benefici suoi, molti voti di cardinali».
È partendo da simili precedenti che davanti all´”antipolitica” propriamente detta si stendono praterie. Ancora prima che Mussolini decreti il tramonto dei “ludi cartacei” (così ribattezzerà le elezioni) già celebri letterati, dal Fogazzaro nel Daniele Cortis (1884) alla Serao della Conquista di Roma (1885), hanno mostrato le magagne elettorali dell´Italia da poco diventata “una”, fra l´impegno dei moderati a compiacere le proprie clientele e il disinganno dei clericali di provincia bloccati dal Non expedit, cioè dal divieto delle gerarchie a scendere in politica. Più avanti, nel 1914, una livida avversione per il parlamentarismo e per i singoli parlamentari, giudicati infidi, corrotti, opportunisti, inetti e traditori trionferà in un libello intitolato I moribondi di Montecitorio, cui arriderà una certa fortuna: esso risente degli umori dello “scapigliato” Paolo Valera, e del giornale La Folla. I toni, se un parallelo è praticabile a tanta distanza di tempo, somigliano, con qualche finezza in più, a quelli populisti adoperati da un Beppe Grillo. Il parallelo, certo azzardato a tanta distanza di decenni e di persone, può far capire che, fra i rami dell´antipolitica, non ne manca qualcuno di sinistra.
Ma consentiamoci a questo punto una trasvolata nel tempo. Non sarà affatto di sinistra, anzi intrisa di rimpianto per il fascismo, l´antipolitica che animò, tra il 1944 e il 1948, l´attività pubblica di Guglielmo Giannini. Il programma? Basta sapere che L´uomo qualunque, giornale diventato partito, è «stufo di tutto». A governare, spiegava quel leader, servono «degli amministratori, non dei politici». Insomma, «non occorrono né Bonomi, né Croce, né Nenni, né il pio Togliatti, né l´accorto De Gasperi». Va ricordato che di poltitica Giannini, si sforzò, sia pure invano, di farne parecchia. L´antipolitica ha sempre offerto simili sorprese.
E oggi? Colpisce il fatto che, tra i seguaci del premier, molti trovano che sarebbe bello restaurare lo spirito del ´94, cioè offrire al Paese a un´energica ripresa di quell´”antipolitica” che ai suoi esordi il patron di Forza Italia prometteva in dosi-urto. Perché, allora, non tornare al 1944, ai riposanti sospiri anti-antifascisti dell´UQ? In un´Italia in preda al sonno, nessun prodigio appare fuori posto.
La Repubblica 06.10.11
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“Indignados d’America”, di Vittorio Zucconi
Nata dalla più classica delle rivolte popolari contro la politica nella sua espressione più odiosa – le tasse – la Repubblica Americana porta dal 1773 il germe dell´antipolitica nel proprio corpo. Non c´è parola d´ordine più rilanciata nei due secoli di storia civica americana, dalla destra come dalla sinistra, dai Roosevelt agli Obama passando per i Reagan i e Bush, che la promessa di ripulire la infetta Washington ladrona e restituire la patria a “the people”, il popolo.
La inestirpabile diffidenza verso i signori in panciotto e cilindro e più tardi in completo blu scuro che di volta in volta governano la nazione non è l´eccezione, ma la norma nel rapporto fra i cittadini e chi è delegato a rappresentarlo. Un sentimento che la Costituzione stessa scolpisce in meccanismi elettorali e istituzionali studiati nel calendario che impone una elezione legislativa o presidenziale ogni due anni e l´autonomia della magistratura. Il mazzo del potere deve essere continuamente rimescolato e sparigliato, per stanare i bari.
Ma neppure questa complicata ingegneria ideata dai Padri Fondatori ha impedito che la “political class”, i professionisti del potere pubblico, si abbarbicasse periodicamente alle poltrone e ai corridoi marmorei dei palazzi, soprattutto attraverso la complicità fra la politica e il business, ben consci del famoso detto secondo il quale «il danaro è il latte materno della politica». Per interrompere questo empio allattamento, o almeno per inacidire il latte, ecco che periodicamente l´anima populista, ribellista, anti-politica si risveglia e grida.
Quando abbastanza cittadini si rendono conto che i bonificatori ufficiali non hanno bonificato niente – Reagan lasciò la capitale dopo otto anni avendo aumentato di 36 mila persone quella classe di “burocrati parassiti” che aveva giurato di sterminare – si alza il Mr. Smith del celebre film di Frank Capra, il cittadino qualsiasi spedito a Washington per ripulire l´aria. Riaffiora il “folk hero” alla Davy Crockett che rifiuta l´autorità costituita.
Scoppiettano i focolai di “milizie armate” che si preparano alla resistenza finale contro la politica, arrivando a tragedie terroristiche come l´attentato al palazzo del governo a Oklahoma City, espressione ultima e tragica dell´antipolitica a mano armata. La superstiziosa fede nel possesso individuale di armi è una manifestazione indiretta ma chiara dell´antipolitica latente.
E quando il senso di tradimento, l´ansia e lo scontento si allargano, l´antipolitica si coagula in grandi movimenti continentali, informi, senza partito, spesso senza leader, ma possenti. Deflagra nell´opposizione alla guerra in Vietnam. Sfonda le barriere dei partiti con il Women´s Lib, il femminismo militante. Trova nell´odio per Obama la miccia che innesca il Tea Party e fa eleggere stuoli di parlamentari antistatalisti e antigoverno nel 2010, ma subisce poi la stessa sorte del proprio bersaglio: il Parlamento americano ha un “rating favorevole” di appena il 10%. E oggi tenta di rivivere in quei falò di ribellione al nuovo impero del Male, quella Borsa di Wall Street alimentata dai salvataggi del governo. Dunque dalla politica. Tutto, nella storia americana, puntualmente si allarga e poi si placa nel grande bacino alluvionale di una politica così abilmente camaleontica da sapersi trasformare in antipolitica per assorbire l´esondazione della rabbia.
Perché il limite finora invalicabile e invalicato dall´antipolitica è nel suo rischiare di apparire antiamericana e antipatriottica. Certamente, il patriottismo è l´ultimo rifugio del mascalzoni, ma finora il bunker ha retto benissimo alle periodiche bombe dell´antipolitica.
La Repubblica 06.10.11