Delegazione del PD a Barletta per i funerali delle lavoratrici. Bersani: “Bisogna che il nostro Paese ritrovi il senso delle priorità: la dignità del lavoro e la sicurezza del lavoro, elementi ineliminabili di un Paese civile”.
Una delegazione del Partito democratico a cui parteciperanno Roberta Agostini, portavoce della Conferenza nazionale delle Donne e Stefano Fassina, responsabile economico del PD, sarà a Barletta ai funerali delle cinque donne morte nel crollo della palazzina dove lavoravano.
“Vogliamo esprimere – hanno affermato Agostini e Fassina – il nostro personale cordoglio e quello di tutto il Partito Democratico alle famiglie delle vittime. Morire di lavoro per sopravvivere e assicurare il proprio contributo alla famiglia, per pagare le bollette o il mutuo della casa è una tragedia, ed è una vergogna nazionale che si possa morire per un lavoro malpagato, in condizioni di legalità e di sicurezza inaccettabili per un paese che si definisce civile. La compressione dei diritti, delle garanzie e delle tutele del lavoro è ormai una realtà in tante parti del nostro paese ed in particolare nel Mezzogiorno e sono spesso le donne a pagarne le conseguenze più drammatiche. Ci dobbiamo sentire tutti impegnati per garantire, non solo a parole ma con i fatti e con le leggi, la dignità delle condizioni di lavoro delle donne e di tutti i lavoratori in ogni parte del Paese perché queste tragedie non possano e non debbano più accadere”.
“Il crollo della palazzina a Barletta è una tragedia che lascia sgomenti – ha detto Pier Luigi Bersani, Segretario nazionale del PD – l’assenza di sicurezza, il lavoro in nero per pochi euro, i controlli che fanno acqua: troppe volte abbiamo dovuto assistere a tragedie come questa. Spetta naturalmente alla magistratura fare luce sulle responsabilità. Ma bisogna che il nostro Paese ritrovi il senso delle priorità. La dignità del lavoro e la sicurezza sul lavoro sono elementi ineliminabili di un Paese civile”.
“E’ straziante che dopo più di un secolo si debbano ripetere tragedie come quella che è accaduta a Chicago e che ha poi ispirato l’8 marzo”, ha evidenziato la senatrice del PD Vittoria Franco. “Le donne di Barletta, operaie in nero precarissime e senza alcuna tutela né sicurezza, donne che cercavano di contribuire all’economia famigliare conciliando il lavoro con la cura, sono delle nuove eroine. Ha ragione il Presidente Napolitano – ha proseguito Vittoria Franco – è una sciagura inaccettabile, di fronte alla quale dobbiamo chiederci quanto sia estesa la piaga dello sfruttamento, e in particolare dello sfruttamento femminile, specie al Sud”.
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Ricattate e senza diritti. «Non possiamo perdere quel reddito minimo», di Jolanda Bufalini
Vito De Mario a 14 anni era operaio alla Osram, ora è segretario regionale della Filctem: «Le lavoratrici ci raccontano ma in modo riservato, senza fare nomi. C’è chi restitusce metà stipendio e chi con il part time lavora 12 ore». Non avevamo notizia di questa impresa a conduzione familiare, poi abbiamo saputo da RAI3 che si tratta di lavoro nero. Ma cosa significhi lavoro nero non sappiamo, c’è un’indagine della magistratura. Bisognerebbe andare a fondo, perché si fa presto a dire lavoro nero. Lavoro nero è anche un contratto parttime, se lavori per 12 ore al giorno, oppure c’è chi prende la busta paga il lunedì, va in banca e il martedì porta la metà di quello che ha riscosso al datore di lavoro, altrimenti il mercoledì è messo fuori della porta. A Barletta il lavoro nero è un fenomeno molto esteso che si è accentuato negli ultimi anni soprattutto in questo settore che, noi, in gergo sindacale, chiamiamo Tac, tessile-abbigliamento-calzaturiero, in cui sono impiegate soprattutto donne. Lo sappiamo perché vengono le lavoratrici a raccontare, ma in modo riservato, senza fare nomi, perché non vogliono perdere quel minimo reddito. Noi sollecitiamo gli organi ispettivi, le sedi istituzionali, ma l’impressione è che la crisi morda moltissimo. Parliamo, per queste donne, di poche centinaia di euro mensili». «A Barletta, fino a una decina di anni fa, c’erano decine di manifatture, nei calzaturifici lavoravano 12.000 addetti. Poi le calzature non erano più vendibili, le fabbriche hanno chiuso».
Quella che abbiamo raccolto è la testimonianza di Vito De Mario, 58 anni, segretario regionale in Puglia della Filctem, la federazione italiana lavoratori chimici, tessili, energia, manifatture della Cgil. «Qui si sono salvate solo alcune aziende che producono scarpe di sicurezza oppure scarponi per sciare. Ma la scarpa tradizionale di Barletta è ormai in diretta concorrenza con paesi come la Cina. Le aziende si sono trasformate, in parte si sono buttate sulla commercializzazione, altri sono diventate piccoli centri artigianali, il lavoro si è riconvertito in queste forme subumane. La situazione di ricatto è sempre più forte, le politiche governative sappiamo quello che sono, e le donne sono quelle che pagano di più. Gli imprenditori navigano in questo ventre molle della Tac, utilizzando i contratti che sono uguali per tutto il settore, alcuni si sono specializzati nei completamenti, altri nel ritiro merci».
Eraclio, il gigante di Barletta
«Non so quali fossero le mansioni di quelle ragazze, delle operaie della maglieria, né ora vogliamo fare la parte di quelli che si impicciano dopo che è avvenuta la disgrazia. Lì ci sono state liti fra i proprietari dei palazzi, è stato rimosso un muretto e, più c’erano le vibrazioni dei macchinari. L’unica cosa certa è che lì un’attività produttiva non ci poteva stare, ci sono le aree dedicate alle attività produttive e non sono nel centro storico, in palazzi vecchi, vicini all’Eraclio, il “gigante” di Barletta.
Per capire la situazione bisogna fare il confronto fra il prima e dopo. Prima, alcuni anni fa c’era più differenza fra Monopoli e Barletta che fra Barletta e Treviso. Barletta non era Sud. Adesso è depressa. Le aziende aprono e chiudono, si trasformano e la gente si arrabatta per sbarcare il lunario, deve arrangiarsi e le donne pagano di più. Di fronte alla legge siamo tutti uguali ma non siamo tutti uguali quando si tratta di portare a casa qualcosa».
«Cosa facciamo noi sindacalisti per contrastare tutto questo? Abbiamo persone che impazziscono da mattina a sera. Non caviamo un ragno dal buco, dal punto di vista degli introiti sindacali, però ci siamo sul territorio, il nostro è un settore complicato: acqua, gas, chimica, e Tac Tessile-abbigliamento-calzaturiero. E siamo stretti fra le norme e il condizionamento che subisce la gente che viene da noi a pregare e piangere, ci racconta le cose, in modo riservato, senza fare nomi. Perché nessuno può permettersi di perdere quelle poche centinaia di euro. E le donne sono quelle che pagano di più».
Chiediamo a De Mario come è diventato sindacalista. «Faccio attività sindacale dall’età di 14 anni, lavoravo alla Osram, la fabbrica delle lampadine, ero manutentore meccanico. Poi mi sono anche laureato in Scienze politiche, ho fatto l’università serale. Sindacalista di professione lo sono dal 1981, è una vita che sto dietro a queste cose.
I liquori al bar
«Mi ricordo quando Barletta era florida, negli anni 80, abbiamo fatto tante vertenze. Allora, la mattina, vedevi uscire un fiume di persone, chi andava verso i campi e chi verso le industrie. Bastava andare al bar per accorgersi di come si stava bene, c’erano tutti i tipi di liquore. Anche da queste cose si vede la ricchezza di una zona.
La crisi è cominciata negli anni Novanta, poi è espolsa dal 2000 in poi e abbiamo iniziato a vedere gli opifici che chiudevano. Alle dismissioni, da sindacalista, ho lavorato per diversi anni».
«Oggi il tasso degli incidenti sul lavoro è alto ma sono tanti quelli che non vengono denunciati. L’Italia, dal punto di vista statistico, è il più bel paese del mondo. Solo quando scoppia una tragedia di grandi dimensioni si viene a sapere cosa è successo». «E dire che qui ci sarebbe il terreno giusto, perché la gente è molto combattiva, non è come nel sud barese dove si ha di più la testa da impiegati. Solo che anche qui la combattività si va affievolendo, le nuove generazioni non si capisce cosa vogliano. Però c’è ancora la gente che lavora, che dà un senso alla vita nel lavoro. Ma sono i più penalizzati».
L’Unità 05.10.11