Verso le due del pomeriggio, quando sono arrivati a 199 scatole (l’equivalente di 500mila firme), hanno appeso alla stanza di Fausto Recchia la bandiera dei pirati. E Gabriele De Giorgi, il non ancora trentenne responsabile organizzativo della campagna di raccolta firme contro il Porcellum, si è tagliato la barba (ha smesso di farla quando è cominciata l’avventura, aveva promesso di sbarbarsi a traguardo raggiunto).
A Santi Apostoli, sede nazionale del comitato referendario, sono stanchi ma felici. E indotti dai numeri alla sospensione dell’incredulità. Domani (oggi, ndr) consegneranno in Cassazione fra le 600 e le 650mila firme regolari, al netto del risultato dell’Italia dei valori.
E l’Italia dei valori, per bocca del suo leader, Antonio Di Pietro, ha già venduto la pelle dell’orso, annunciando che alla fine le sottoscrizioni saranno un milione, con l’Idv vicina a quota 500mila. Un conto realistico colloca il partito di Di Pietro a 300mila. Sommate alle 650, effettivamente gratta dal basso il milione.
«Non me l’aspettavo. Le questioni elettorali sono tecniche, non facili da far passare. Ma quando parli di Porcellum la gente sa subito di che cosa si sta parlando, e firma», dice Andrea, uno dei quaranta volontari chiamati a raccolta per le ultime ore – anche notturne – nella war room referendaria. Elena ha fatto il front office fin dall’inizio i primi di agosto: «È stato un continuo di telefonate. Ci chiedevano come si fa a far firmare, quali sono le procedure per poter mettere un banchetto in piazza, dove sottoscrivere. E ce lo chiedono ancora adesso».
A siglare col numero 199 la scatola del traguardo è toccato a Sara, ventiquattrenne senza lavoro ma non senza passione politica: «Un esperienza straordinaria». La sensazione è quella di aver preso parte a qualcosa di particolarmente speciale: in soli 50 giorni da zero a quasi un milione di firme.
In pieno agosto, in pochi, con poche risorse e una riserva di tempo di molto inferiore a quella delle precedenti campagne referendarie, che di solito si sviluppano in sei mesi. Una corsa in salita di cui si è cominciato a vedere se non la fine, almeno una luce, di fronte alle code ai banchetti, alle file di gente che per le strade, nelle piazze, alle feste di partito (dei due partiti promotori, Idv e Sel, e del Pd, che ha aperto i propri spazi alla raccolta) hanno affollato i tavoli referendari.
Nell’ultima settimana i risultati dalle città hanno dato conforto: Torino e Milano ex aequo 50mila, Bologna 20mila, Modena 21mila, Bari 10mila. «Un miracolo popolare – commenta il presidente del comitato Andrea Morrone – Questo referendum non l’hanno fatto le adesioni politiche che si sono andate sommando, ma le persone che sono venute a cercarci per firmare».
Tutti e sei i promotori hanno portato a casa molto più di quanto promesso. L’Idv ha fatto il pieno, Sel è arrivata a 150mila, i Democratici di Parisi hanno raddoppiato rispetto alla previsione (120mila firme), la rete di Segni viaggia attorno a 100mila, il Pli e l’Unione popolare attorno a 50mila.
I comuni, che la volta scorsa (referendum Guzzetta-Segni) non avevano superato le 30mila firme, alla fine ne porteranno fra le 70 e le 100mila. E se anche il Pd non ha aderito al referendum, grande è stato l’apporto dei suoi iscritti e militanti. E di chi, come gli ecodem e i liberal, ha preso moduli e banchetti e si è messo a raccogliere le firme.
In mattinata Enzo Bianco, leader dei liberal dem, consegna di persona a Santi Apostoli le sue 10mila firme (4mila solo a Catania): «Ho visto ovunque una gran voglia di esserci. Il referendum è una spinta perché il parlamento faccia la riforma elettorale».
Nel primo pomeriggio i referendari festeggiano la 199esima scatola. De Giorgi si taglia la barba. In attesa della fase due, la campagna elettorale. Ma per quella, «situazione politica permettendo, almeno ci sono sei mesi». Così si può riposare una notte intera (in questi giorni il concetto di riposo è stato molto approssimativo).
da Europa Quotidiano 30.09.11